recensioni di Apriti, mare!

La lettura, 21 febbraio 2021

Distopie - Laura Pariani inventa un'epoca uscita da una guerra nucleare e

da una pandemia.

Tra ragazzini postatomici

di Ermanno Paccagnini

Si incrociano filoni narrativi già attraversati in passato dall'autrice in Apriti, mare! di Laura Pariani. I bambini protagonisti, innanzitutto; poi immagini di luoghi e momenti bui dei secoli passati (da La signora dei porci a Il gioco di Santa Oca); il tutto calato in una narrazione distopica (sperimentata in Di ferro e d'acciaio) già nell'incipit alla Peste scarlatta di London, situata in un futuro di oscurantismo e sopraffazione. Un'opzione, la distopia, che pare frutto dei due momenti compositivi del romanzo, inizialmente dettato dalle immagini di migranti bambini annegati e tradotto in scrittura «nel novembre del 2018», proprio mentre scorrevano i filmati dell'«onda umana composta per la gran parte da giovanissimi e bambini» che risaliva le Americhe: immagini centrali nel romanzo, col clima da «Medioevo prossimo venturo» nel quale lo «Sciame di camminanti», bambine in fuga, «gruppo tremante e malnutrito» di «una trentina di mignonette», fugge «dalle montagne di settentrione» verso il «favoloso mare che stava a sud». Il libro «alla fine del 2019 era pronto». Poi, però, «ci è piombata addosso la pandemia. A marzo 2020, nella chiusura totale, ho riletto il tutto e ho cominciato a riscrivere il libro da capo».

Di qui il muoversi dei personaggi in un arco di tempo che, attraverso i rimbalzi della memoria, passa dall'«anno 86» all'«anno 83» a mo' di prologo, quindi all'«anno 45» che costituisce il cuore del racconto, per chiudere all'«anno 194» di quanto è definito «dopo l'Incidente». Ossia lo scoppio d'una «pestilentia», «una malattia sconosciuta» calata su una popolazione già profondamente indebolita da una guerra nucleare, alla quale «sopravvisse — e a stento — solo chi aveva meno di quindici anni». Con conseguente azzeramento di ogni memoria di quel «Sicutèrat» fatto di «prodigi» come «veicoli a benzina, strade asfaltate, aerei, energia elettrica, vaccini contro alcune malattie», anche perché «gli unici rimasti vivi di quel mondo-di-prima»» non possedevano le cognizioni per far ripartire tecnologia, scienza e cultura. Sicché «il mondo tornò com'era all'inizio, con gli esseri umani che vivevano sulla nuda terra come animali», con quegli stessi bambini a dar vita o a piccole comunità di piantatori, o a «tribù ambulanti di raccoglitori che vivevano mungendo le rovine». Sino al graduale assestarsi d'una organizzazione sociale caratterizzata da una religiosità violenta che obbedisce all'Onnipòssio, fatta di controlli, Difesa della Fede, caccia alle strie, Disciplina, Casa della Sapienza e purificazione della razza, eliminando i millesegnati, cioè i bambini che alla nascita presentavano mostruosità, e dove Numerocinque coi suoi sparaguai e Cappucci Neri ha piena «potestà di mandare a morte». E vittime privilegiate erano soprattutto bambine e ragazze.

Di qui le fughe per aggregarsi allo Sciame diretto a quella «terra promessa», la «terra-senza-paura» che sta al di là del mare, guidato dalla sognatrice Sulènc e dove Aurea racconta storie e cerca d'insegnare alle piccole l'alfabeto. Un viaggio che perde però per strada prima Sulènc, che il lettore ritrova nell'anno 83 come «santarella dell'eremo» e memoria dello Sciame (debole però la prima parte del capitolo), e poi Aurea (suoi i capitoli dell'anno 45, con la sua storia e le vicende della cattura) ma che sotto la guida di Feròna raggiunge finalmente le acque sotto le quali «non si cresce, non si invecchia: si resta bambini per sempre».

Il finale fiabesco («un sogno per darmi la possibilità, adesso, di raccontarvi cosa successe davvero») è affidato all'io narrante della vecchia Unagàmb (altra bella figura femminile insieme alle due sopra ricordate e alla maga Barlànda) nel quale sta forse il significato profondo di questo racconto che incrocia le vicende della storia con quelle, riconoscibilissime, delle fiabe (richiamate nella nota finale). La scrittura, rispetto al passato nella sua mescolanza di italiano e milanese furestee, si fa sotto quest'ultimo aspetto più dura, soprattutto nelle denominazioni e in linea con le asperità che nel racconto si alternano alle tenerezze. Per una vicenda narrata «per sentirmi di nuovo piccola e perché mi sono sempre sentita piccola».

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Il Giornale di Brescia - 22 febbraio 2021

Laura Pariani spiega come i migranti abbiano ispirato il suo libro «Apriti, mare!»

«Mi hanno ispirata quei bambini in viaggio da soli verso l'ignoto»

di Alessandro Censi

Quasi un libro catastrofico, premonitore sulla pandemia, il nuovo romanzo (il 34° di Laura Pariani, «Apriti, mare» (La nave di Teseo, 240 pp., 18 euro; ebook 9,99 euro. In libreria dal 25 febbraio). Un «soffio mortale», «l’incidente» che ha risparmiato solo i giovani sotto i 15 armi, ha sconvolto e ricreato il mondo dando vita a un «Presidio» di abusi e soprusi di carattere dittatoriale, dove brutali «difensori della fede», «cacciatori di penitenza», «Strie capaci di volare» inducono nel tempo a fughe perigliose molte bambine desiderose di scampare a un regime oppressivo.
    «Il libro racconta un viaggio a piedi in un paese distrutto - precisa la Pariani -. Un viaggio che è un sogno, che scala i tempi come in un sogno, che incrocia resoconti e, come in mi sogno, finisce in un mare favoloso dove il tempo è fermo. Ho intrecciato piani temporali e vicende, rimandandole le une alle altre, fino all'ultimo racconto, in cui la protagonista è una donna ormai anziana. Ho scelto di far raccogliere le fila delle tante vicende da questo personaggio, perché gli anziani possiedono la memoria e in più hanno lo sguardo incantato dell'infanzia. E lei che racconta la storia di tanti anni prima, in cui lo sciame ha scelto il mare, che a sua volta ha scelto i bambini».
    Sulénc, 11 anni, quasi una veggente, Ruzzola la ribelle, Aurea la corridora, la mostricina con le ali tradita dalla madre, Barlanda e tutte le altre che scappano sono metafora delle migliaia cli disperati in viaggio che cercano salvezza e riscatto?
    Ho cominciato a pensare a questo libro parecchi anni fa, assistendo, attraverso i servizi giornalistici, alle traversate del Mediterraneo compiute dai migranti; mi colpiva soprattutto la storia dei bambini che spesso viaggiavano (e morivano) da soli. Ho scritto le prime versioni dei romanzo nel 2018, quando una "carovana" di 7.000 migranti traversò i paesi dell'America Centrale, superando monti e deserti, guadando fiumi per evitare i controlli delle autorità locali. I giornali la chiamarono «onda umana»: era composta per la gran parte da giovanissimi e bambini, uniti nella speranza di raggiungere gli Stati Uniti, paese simbolo di una vita ricca e sicura; per ritrovarsi poi braccati e imprigionati in gabbie, dopo essere stati separati dai familiari. Un fatto che mi fece pensare molto.
   Perché?
   Vi ritrovavo l'eco della terribile «crociata dei bambini» che traversò l'Europa nel Medioevo e che si concluse tragicamente sulle rive del Mediterraneo. Ho avuto la sensazione che il nostro mondo somigliasse terribilmente alla fiaba di Hänsel e Gretel: figli abbandonati a loro stessi da genitori che non sono in grado di costruire per loro un futuro; bambini costretti a mettersi in viaggio a rischio della vita verso terre molto lontane; ragazzi attratti dalla promessa di prosperità della "casa di marzapane", ma poi destinati a scoprire che essa è abitata da una strega e dai suoi strumenti di tortura. Mi chiedo se il nostro mondo non rischi di assomigliare a quello pauroso di «Hänsel e Gretel».
    A che punto era dei romanzo quando è arrivata la pandemia?
    Alla fine deI 2019 il testo era pronto. Poi ci è piombata addosso la pandemia e a marzo 2020, nella chiusura totale, ho riletto il tutto e ho cominciato la revisione. Non posso negare la sensazione oscura di apocalisse che ha accompagnato questa fase del lavoro. Ciò che accade nella realtà si insinua sempre nei libri che scriviamo. La scrittura è un grande alambicco che distilla sulla pagina tutto quello che ci succede intorno e ci traversa Nel silenzio irreale che pesava sulle città vuote, nell'echeggiare delle ambulanze, nello sferragliare dei camion militari che portavano centinaia di bare, tornava con maggior forza l'orrore infantile delle favole tradizionali: con gli orchi, i fantasmi, le foreste buie che bisogna traversare da soli.
    In questo romanzo ha galoppato molto con la fantasia, o ha semplicementeromanzato i nostri tempi un po' diabolici?
    La caccia alle streghe non è mai finita. Quante volte abbiamo constatato che, di fronte a una catastrofe, la gente si butta alla ricerca di un capro espiatorio? Oppure si attacca alle disposizioni più stralunate e fanatiche di qualche setta pseudoreligiosa?
    «Apriti, mare» come «Apriti, sesamo»?
    Sì, per il titolo ho pensato all'«Apriti, sesamo» delle favole, al cambiamento che di colpo si produce in noi quando si racconta o si ascolta un buon narratore. Chi parla sospende il tempo reale del presente per immergersi nel narrare e, mentre parla, guarda il mondo come se fosse rimasto solo: l' interlocutore per lui non è altro che uno schermo... G d'altro lato, chi ascolta sta in silenzio, lasciando da parte la propria identità e la propria memoria per concentrarsi del tutto nell'atto di ascoltare...

Bambine luminose e forti nello «sciame in fuga»
Nello «sciame in fuga», Laura Pariani vede le bambine del romanzo come presenze «luminose e forti. Sono partite alla ventura, scappano dalla loro infanzia disastrata, e nel viaggio cercano di raccogliere un'eredità dispersa, prima di prepararsi ad affrontare il mare, che non hanno mai visto e che è al di là di ogni immaginazione». Quando si è di fronte a una catastrofe, secondo la Pariani, «c'è chi sostiene che è necessario isolarsi e infischiarsene degli altri; e c'è chi invece capisce che o se ne esce tutti insieme, o nessuno ce la farà. Le bambine del mio romanzo - finché stanno insieme come uno sciame - si salvano».

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Lankenauta - Letteratura e altri mondi (sito web) - 4 marzo 2021

Apriti, mare!

di Maria Tortora

Ho cominciato a pensare a questo libro parecchi anni fa assistendo, attraverso i servizi giornalistici, alle traversate del Mediterraneo compiute dai migranti; mi colpiva soprattutto la storia dei bambini che spesso viaggiavano (e morivano) da soli": è così che Laura Pariani spiega la genesi di “Apriti, mare!” nella Noterella che chiude il romanzo. Tutto ebbe inizio nel 2018 e, scrive l’autrice, “alla fine del 2019 il testo era pronto. Poi ci è piombata addosso la pandemia. A marzo 2020, nella chiusura totale, ho riletto il tutto e ho cominciato a riscrivere il libro da capo". Il romanzo, dunque, sembra prendere vita da due tragedie parallele e contemporanee, da una parte le ondate di esseri umani che cercano una vita migliore e si spostano tra continenti, dall’altra l’intera umanità che si ritrova a lottare contro un virus mortale che non conosce e che cerca di contrastare come può.
Nel cuore della visione letteraria della Pariani ci sono i bambini. Figli lasciati alla loro solitudine, messi in mare da genitori che vorrebbero per loro solo la salvezza o costretti a trascorrere mesi della loro infanzia chiusi in casa davanti a un computer. Sopravvissuti, in un senso o nell’altro. E sopravvissuti sono anche i personaggi di “Apriti, mare!”. Per lo più bambine, a dire il vero. La scrittrice costruisce un mondo distopico che conteggia gli anni a partire da quello che viene definito, generalmente, “incidente”. Ci sono un mondo e un’umanità prima dell’incidente e un mondo e un’umanità dopo l’incidente. Un anno zero che determina un ritorno a una sorta di Medioevo in cui tutto ciò che l’uomo è stato in grado di inventare, costruire e realizzare è perduto, in cui ogni conoscenza, anche la più semplice, è solo un vago ricordare, un mondo dove le tecnologie sono abbandonate da decenni e il potere, neanche a dirlo, è in mano a uomini che dominano tutto, e spesso con ferocia, in nome di un qualche Dio che parla attraverso il sacro libro.
L’incidente ha resettato l’intero pianeta e di quel che avvenne rimane memoria: “Il contagio colpì duro perché si trattava di una malattia sconosciuta, mai apparsa prima d’allora; senza contare che la popolazione era già profondamente indebolita dalla guerra che si era conclusa coi disastri nucleari appena tre anni prima. Sopravvissero all’epidemia solo i bambini e i giovani sotto i quindici anni. Di conseguenza la sapienza venne cancellata: i bambini non sapevano usare la tecnologia, non avevano le conoscenze per mantenere in moto le grandi centrali. Per un po’ tutto continuò a funzionare per inerzia, ma poco a poco il sistema si “spense”. Le città si svuotarono, il mangiare scarseggiava…". Il pianeta ridisegnato dai bambini è approssimativo e basilare, si sopravvive come si può: “il paese più importante era senza dubbio l’Italia: linee e colori che indicavano regioni col nome delle antiche città, ora soppiantate da colonie di giovani piantatori che vivevano perlopiù di un’agricoltura grama“.
In questo cosmo riscritto daccapo i sopravvissuti fanno presto a recuperare leggi e superstizioni che sembravano superate ma che paiono riproporsi ciclicamente: “l’Onnipòssio ricostituì il mondo intorno alla città di Nominepàtri: controlli, la Difesa della Fede, la caccia alle strìe, la Disciplina, la Casa della Sapienza”. La ricostruzione di una civiltà, ancora una volta, seppure in un futuro solo immaginato, passa attraverso la sopraffazione e a farne le spese sono le ragazze e le bambine. La loro unica via di fuga è rappresentata da quello che tutti chiamano “lo Sciame”, un groviglio di ragazzine più o meno grandi, e sicuramente ribelli, scappate dalle violenze e dai soprusi delle loro stesse comunità: “la gente che le aveva incontrate diceva che cercavano la terra-senza-paura, oltre il mare”. È lì che vuole arrivare lo Sciame ma, anche nel mondo distopico inventato dalla Pariani, ci sono comunque uomini che non tollerano che delle “femmine” possano essere non controllabili.
La ricchezza di “Apriti, mare!” non è solo nel messaggio umano, ecologico, culturale che questa storia trasmette, ma anche nel talento che, ancora una volta, Laura Pariani dimostra nel saper costruire un linguaggio che non c’è. Era già accaduto altrove, per esempio ne “Il gioco di Santa Oca”: la narrazione è affidata a parole che sembrano arrivare da altre ere o da altre distanze. Le atmosfere sono intrise di motivi che provengono dalle fiabe classiche, infatti non è un caso che tra i “debiti” che la Pariani elenca al termine dell’opera troviamo capolavori senza tempo come Hänsel e Gretel, Raperonzolo, Il pifferaio di Hamelin dei Fratelli Grimm o Pollicino, Cappuccetto Rosso, Le Fate, Barbablù di Perrault o La piccola fiammiferaia, La Sirenetta, I vestiti dell’imperatore, I cigni selvatici, La regina della neve, Scarpette rosse di Andersen.

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La Stampa, Tuttolibri - 20 marzo 2021

Lo Sciame di bambine avanza verso il mare alla ricerca della libertà

Dopo un cataclisma la terra è oppressa da una Casta Qualcuno si ribella a chi vuole punire anche i sogni

di Lorenzo Mondo

Apriti,mare!, il romanzo di Laura Pariani, prende origine dalla memoria di un Soffio mortale, un cataclisma misterioso, che si è abbattuto sulla terra, devastandola. La gente ne parla evasivamente chiamandolo «l’Incidente». Sono sopravvissuti soltanto i minori di quindici anni, che devono inventarsi una nuova storia. A parte i decessi, si è persa infatti ogni nozione di tecnologia, scienza e cultura, si conservano appena barlumi del passato. La popolazione si divide in nuclei stanziali di coltivatori e in branchi di raccoglitori. Ma in questo mondo così regredito e frammentato si è affermata nel tempo una casta onnipotente, espressione di un potere superstizioso e malefico che punisce anche un solo indizio di trasgressione. Perfino i sogni sono esposti a sanzioni spietate.

Ma ecco che in questo universo apparentemente votato all'immobilità accade qualcosa di inaudito. Corre voce, trasmessa da cantastorie e fuggiaschi, che è in atto una segreta e mite ribellione contro la tirannide. Si tratta di quello che viene definito lo Sciame: un gruppo di bambine e ragazze stanno percorrendo lande desolate e foreste intricate per raggiungere il mare e, al di là di esso, una terra libera, senza paura. Laura Pariani le accompagna nelle loro peripezie, intrise di solidali fatiche e magiche apparizioni, per sfuggire all'inseguimento degli aguzzini incappucciati di nero. Mettendo in risalto i caratteri salienti -tra ardimento e tenerezza- delle sue eroine.

Risulta ben chiara a questo punto l’operazione condotta dall’autrice, che ne dà conto in una nota posta in appendice al testo. Afferma di essersi ispirata all’immaginario delle innumerevoli pagine destinate in prima istanza all’infanzia, alle fiabe di celebri scrittori colme di orrori e stupori. Senza dimenticare tuttavia certe sollecitazioni storiche, come la «Crociata dei bambini», che attraversò l’Europa del Medioevo e si concluse drammaticamente sulle rive del Mediterraneo. È l’episodio che suggerisce visivamente l’invenzione dello Sciame. Anche se l’idea prende corpo da tragedie più vicine a noi lettori: come le migrazioni di popoli che si succedono in ogni parte del mondo, coinvolgendo in gran numero i minori.

Malcerta la conclusione della lunga marcia messa in atto dallo Sciame. Almeno una parte delle bambine sembrerebbe essere scampata agli inseguitori. Nell’ultimo capitolo del libro siamo trasportati a grande distanza di tempo da quegli avvenimenti, in paesi dai costumi più civili, meno oppressivi. Dove alcuni pescatori catturano nella loro rete una fanciulla che ha tratti di sirenide. Apparterrà alla progenie dell’antico Sciame? Fatto sta che, dopo essersi incuriosita e impratichita del nuovo mondo, un bel giorno quella creatura si rituffa nel mare. Tanto è ancora lontana, sulla terra, la libertà a cui è avvezza.

Non è l’ultima rifrazione di un denso narrare, protratto da una inesausta volontà di approssimarsi, per sfaccettature, a una realtà indicibile. Non va infatti dimenticato che lo Sciame del romanzo è composto di sole bambine e ragazze adolescenti. Viene cioè rivendicata la particolare connotazione femminile delle vittime, la loro superiore capacità di resistenza, inscritta nella memoria della specie: «...di innumerevoli vite passate a viaggiare come prede nella stiva di navi concave e oscure (...) a fare e disfare la tela per infiniti inverni, a partorire morituri per nuove Troie, a aspettare il ritorno di Agamennoni e Ulissi esausti: eroi dorati dai piedi di terracotta, che ciascuna di loro a volte amava, spesso temeva e quasi sempre, presto o tardi, arrivava a disprezzare». Sono le riflessioni che Laura Pariani affida a una sorta di vecchia sibilla assisa sulla riva del mare. Mentre prende dalle vecchie favole care all’infanzia, provvede a una restituzione che ne dilata l’orizzonte, dai miti della classicità alla stringente realtà dei nostri giorni.

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