recensioni di Di ferro e d'acciaio

L'Avvenire, venerdì 16 febbraio 2018

Con l'intenso "Di ferro e d'acciaio" di Laura Pariani prende il via una serie di romanzi dedicati alle parole fondamentali della nostra tradizione cristiana: un'apocalittica Via Crucis nel segno di Dürrenmatt e Testori.

di Fulvio Panzeri

La vitalità della narrativa italiana si misura anche attraverso nuovi progetti editoriali in grado di mettere le storie al servizio di una riflessione morale sul presente. È già questo uno dei motivi che porta a segnalare come innovativa e necessaria una collana che approda ora in libreria, edita da NN, con l'emblematico nome di "CroceVia". Si tratta di una serie di libri attorno al senso e al significato di alcune parole fondamentali nella tradizione cristiana e nella nostra storia: «parole antiche - osserva l'editore - che usiamo tutti i giorni, e che cerchiamo di addomesticare, disabitandole di una parte del loro significato, che continua a riverberare come un'eco sommessa». Della serie, curata da Alessandro Zaccuri, arriva ora in libreria il primo titolo, Di ferro e d'acciaio, firmato da una delle migliori scrittrici italiane di oggi. In questo romanzo breve, intenso e forte (senz'altro uno dei suoi testi migliori) Laura Pariani affronta la parola "Passione", intesa in un'ottica che Zaccuri così spiega: «Come tutte le parole importanti, Passione non ha un unico significato: indica l'amore estremo e l'estrema sofferenza, lasciandoci il sospetto che l'uno si rispecchi nell'altra, in un equilibrio chiamato compassione».

Laura Pariani ne declina il significato immaginando un tempo e un luogo emblematici per mettere in scena il clima di dissoluzione morale e di una realtà corrosa, offesa e martoriata dalla progressiva erosione e perdita del senso dell'umano, dove una terribile gabbia dittatoriale ha messo al bando la possibilità di riconoscere in ciascuno la propria anima. La scrittrice ambienta la vicenda in un futuro prossimo venturo, con la scelta di non individuare geograficamente la topografia dei luoghi, così da rendere più inquietante lo scenario di una Città e della sua Interzona dove «il silenzio ha il colore grigio della cenere mista a sabbia che il vento trascina in mulinelli», una specie di inferno abitato tutti i giorni e diventato ormai un'abitudine, in cui l'unico modo per sopravvivere è «probabilmente accettarlo e diventarne parte fino al punto di non vederlo più».

Ne emerge la realtà di una simbologia dittatoriale, che la Pariani non nomina, ma riferisce alla situazione argentina, cultura e memoria sempre presente nei romanzi, al punto che diventano evidenti i riferimenti alle incursioni della polizia politica, alle sparizioni e alle morti cruente inflitte agli oppositori del sistema, alla tenacia delle donne vestite di nero in cerca dei propri figli, una realtà dove tutto è sorvegliato dagli apparati del potere, ogni mossa ripresa e registrata, in «un silenzio che ha avvelenato la Città, ne ha fatto una tomba». In un contesto di lucida e straziata visionarietà, che si pone sulla linea di grandi scrittori novecenteschi quali Dürrenmatt e Testori, che hanno messo in scena l'allarme di un'apocalisse imminente, Laura Pariani mette in scena un viaggio salvifico, un avvicinamento al riconoscimento della propria anima, rileggendo in controluce le figure di Maria e di Jesus, personaggi della vicenda, ma anche sudari che mostrano come la memoria di Cristo ritorni a essere presente nel tempo, in ogni tempi.

A raccontare la vicenda è l'operatrice H478 alla quale viene affidato l'incarico di sorvegliare il soggetto-23.017, una donna che vaga per la città alla ricerca del figlio scomparso, «il calvario dell'ultimo mese: la sparizione, le risposte negative delle istituzioni, le voci riguardo ai centri di detenzione clandestini«. In realtà l'operatrice sembra designata ad attraversare con lei un percorso che la porterà a dubitare delle presunte verità imposte dagli apparati del potere. Ripensando al momento in cui era davanti al Capo della Sorveglianza e aveva deciso di "rilevare" lei quella donna, «ha quasi l'impressione che quel tagliando segnaletico l'abbia aspettata al varco» e sente che «le storie di Maria e di suo figlio l'attendevano. Un incontro che non si poteva deviare o scansare».

Attraverso uno schermo l'operatrice sente e soffre l'amore estremo della madre e l'estrema sofferenza del figlio, che dopo violenze e torture, viene assassinato nella Caserma del Teschio. Prima che la condanna a morte venga eseguita, all'ufficiale giudiziario che chiede al prigioniero l'ultima dichiarazione, Jesus risponde: «La mia anima, io non l'ho persa». L'operatrice , che era stata costretta a cancellare la memoria dei fatti - tema che la Pariani riprende stilisticamente attraverso l'uso di termini della parlata lombarda - intravede la possibilità di una luce, di una «:promessa», perché la storia di Maria e di suo figlio «le hanno lasciato una scia, una cicatrice». L'hanno messa di fronte al vuoto in cui è costretta a vivere, all'assurdo di una realtà menzognera che le fa riconoscere «le cose non dette, nascoste, sepolte», oltre «alle energie sprecate per reprimere o dimenticare». Scopre così un senso, come «ordine perentorio» non solo per sé: «Tu racconterai«, come «dovere di comprendere che Jesus è ancora vivo. Come considerarlo morto, se la sua traccia terrestre continua ad interpellarla?».

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Corriere della Sera, La lettura, domenica 4 marzo 2018

Un drone sorveglia la Passione di Jesus N.

di Ermanno Paccagnini

Tocca al racconto d’una Passione, affidato a Laura Pariani inaugurare CroceVia, una singolare collana di NN Editore: sette titoli scelti per raccontare alcune parole primarie del cristianesimo (passione, croce, amore, fede, perdono, Maria) individuate da Alessandro Zaccuri e affidate ad altrettanti scrittori italiani. Di ferro e d’acciaio il titolo del romanzo della Pariani, di curiosa assonanza con il suo titolo d’esordio Di corno o d’oro.

Un romanzo al tempo stesso distopico e utopico, proiettando in un futuro umanamente apocalittico l’esperienza fondante del cristianesimo. Un romanzo al femminile, cadenzato in un’alternanza tra i capitoli dedicati ai luoghi nei quali accadono i momenti topici della Passione e quelli intitolati ognuno a una diversa figura femminile. Con, a disegnare i passaggi, «una donna vestita interamente di nero» intenta a bussare a tutte le porte della Città, per avere notizie di suo figlio arrestato per «attività sediziosa»; e, a raccontare i cui passi, l’operatrice quarantatreenne H478, che, senza immaginare cosa avrebbe comportato alla sua coscienza, aveva scelto di monitorare attraverso un nano-drone la Sorvegliata 23.017. Ossia Maria N., 74 anni; madre di Jesus N., 33 anni, laureato in Storia: un figlio, come ricorda la madre, col «chiodo fisso dell’impegno ecologico, sociale e non so che altro...», che si sente investito d’una «missione».

È dunque la riscrittura della Passione di Cristo quella che Laura Pariani racconta ambientandola in un ipotetico futuro che segue alla Guerra dei Cinquanta Minuti, in una Città che una Recinzione separa da una «immensa baraccopoli detta “la Disgrazia”» abitata dai Mezzòmini. Una Città-Stato autoritaria, poggiante su regole ferree quali la proibizione della lettura, con tanto di Biblioclastia; il «Silenzio Salutare imposto dal Governo», anche se poi «trasgredire la regola del Silenzio Salutare è quel che davvero manda in orbita la gente», che lo fa sussurrando i «propri pensieri ai memonastri» e registrandosi di nascosto nel Ricordatore Personale, perché è attività, se non proibita, perlomeno considerata «malsana»; la Torre del Tramonto Sereno, per gli anziani. Una riscrittura nella quale luoghi, tempi e scene della Passione sono ben riconoscibili, essendo avvenuto l’arresto nella Montagnola dell’Orto; trovandosi il luogo del supplizio nella Caserma del Teschio; dove «un fascio di fili elettrici rossi e blu attorcigliati a corona» è prima posto sul capo del prigioniero torturato e, dopo l’esecuzione, «ciò che era stato confiscato è andato attesta tra i soldati»; così come è nel Cortile del Fico che «un giovane si è impiccato senza nessun motivo conosciuto»; mentre la scelta del condannato da graziare è affidata alla Telelotteria della Liberazione.

Due sono poi i percorsi principali del racconto: l’oggetto della sorveglianza, ossia il vagare e domandare straziante ma tenace di Maria; e quello interiore della sorvegliante, sempre più in crisi nel seguire quella madre. Un’interiorità, quella di H478, che lavora, prima che sulla coscienza, soprattutto sul ricordo, nel richiamare la sua adolescenza e le donne della sua stessa vita, come la nonna coi suoi racconti; giungendo per questa via a riappropriarsi di se stessa, traducendosi da numero H478 nel suo stesso nome proprio quasi dimenticato, Lusine; sino a esser scelta come destinataria del messaggio di resurrezione.
E dentro questi due percorsi i tanti altri piccoli percorsi delle figure femminili che incrociano la madre, ora di fascinazione, ora di resistenza, e ancor più di rifiuto di quel «messaggio». Figure alcune di invenzione, come a esempio Karma, la compagna di un tentennante Judas, alla fine da lei convinto a denunciare anonima- mente Jesus, perché con la sua «predicazione» danneggiava la loro attività rivoluzionaria; o la madre in ansia per la figlia diciannovenne; o le donne vestite di nero che protestano per la scomparsa dei congiunti, richiamanti le madri di Plaza de Mayo.

Altre di riscrittura: come la ventiquattrenne veggente Veronica «sospetta di incantesimoterapia» nella cui visione «prende forma un volto dai lineamenti stravolti: sangue e polvere gli impastano il viso di ombre» e «la spugna intinta nell’aceto»; o Procula, la moglie di Pontius (Pilato), che come nel Vangelo di Matteo resta molto turbata da un sogno in cui figura Jesus; o Gladys nel ruolo del centurione che la tradizione chiama Longino che dà «il colpo di grazia» a Jesus con una «lama d’acciaio» colpendolo «sotto lo sterno» con «un colpo deciso»; la prostituta Alcyna; ma pure Anna, madre di Maria, qui come Anita nelle vesti di nonna del cucciolo biondo Jesus.

Così come tra riprese letterali o riscrittura sono le frasi di Jesus; non senza il far capolino tra esse di Dante, del Milton dell’Areopagitica e del Salmo 77. Uno Jesus di cui spunta pure un diario, a sua volta emblema della «pratica sovversiva dello scrivere». Un racconto di grande raffinatezza, soprattutto nel narrare e nelle figure, con solo qualche attorcigliamento nei momenti più riflessivi dell’ultimo capitolo. Con la consueta eleganza di scrittura della Pariani; qui persino parca nel ricorso agli intarsi rielaborativi del dialetto.

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La Stampa, Tuttolibri, sabato 24 marzo 2018

Dov’è finito “Jesus” che amava la libertà ed è stato tradito dall’amico “Judas”?
Una madre cerca il figlio scomparso in un’apocalittica città, del futuro che ha messo al bando sentimenti e cultura, ma qualcuno la controlla

di Lorenzo Mondo

Di ferro e d’acciaio, il romanzo ultimo di Laura Pariani, ha una struttura assai semplice, dentro la quale si affollano tuttavia personaggi e significati. L’operatrice H478, che in privato si chiama Lusina, deve sorvegliare ininterrottamente il soggetto -23.017, una donna vestita di nero che si aggira nella città per avere notizie del figlio. Il ragazzo è stato arrestato per attività sovversive, ingoiato da un potere inaccessibile ed onnipresente. Ed ogni movimento, ogni parola della madre, così pervicace nella sua ricerca, vengono controllati e registrati su un monitor.

La storia si svolge dopo la guerra dei Cinquanta Minuti, che, per la sua stessa brevità, si presume sia stata catastrofica, apocalittica: tanto da mutare le fattezze di una civiltà, sconvolgere un modo di vivere. La Città è esposta a folate ventose che sollevano polvere e cenere, le più ardite conquiste tecnologiche non compensano la scomparsa delle parvenze naturali. Il passaggio di una farfalla sul monitor lascia una scia di incredula meraviglia. Gli abitanti si nutrono dì cibi sintetici, vivono in tetri falansteri. Per contrastare l’iperlongevità, troppo costosa per l’erario, si accompagnano i vecchi a morire nelle Torri del Tramonto Sereno. Un potere occhiuto, pervasivo, controlla i minimi pensieri, antepone all’esercizio della parola la virtù del silenzio. Si predica la bibliocastia, i libri superstiti si limitano a raccogliere editti e prescrizioni. Viene considerato malsano indugiare sui ricordi, patologica perchè debilitante qualsiasi forma di attaccamento a un’altra persona.

Il ragazzo scomparso fa parte di un gruppuscolo sedizioso che «vuole il ritorno al l'antico», crede nell’impegno ecologico e sociale, vede nel libro «il frutto migliore dell’umano». Cita inaudite storie dì passione amorosa come quella di un tal Paolo e Francesca, raccontata in una vetusta opera perduta. La donna vestita di nero, sempre inseguita dal monitor dell’operatrice, cerca le tracce del figlio nei gangli burocratici e polizieschi del potere, ottenendo silenzi infastiditi, dinieghi e dileggi. In una toponomastica che sembra ricordarsi in piccolo dei territori maligni e desolati di un Tolkien, mentre l’occhio perennemente desto a scrutare e ammonire fa venire in mente il Grande Fratello di Orwell. Alla madre non viene risparmiato alla fine lo strazio davanti al corpo del figlio, deturpato da atroci torture.

La sua è stata una vera e propria Via Crucis, suggerita dai flagranti indizi che si colgono nel racconto. Il ragazzo ucciso si chiama Jesus ed ha un amico, Judas, che muore impiccato. Così il Grande Egemone, che decide del suo destino, è un Pontius ed ha per moglie una Procula. Ha inventato il televoto con il quale in certe occasioni viene messo in libertà un detenuto.

La comparsa in filigrana del testo sacro nel romanzo non comporta, necessariamente, una sua stretta riproposizione in travestimento moderno. Rappresenta piuttosto il modello esemplare di una passione che, in termini di verità, libertà, fedeltà all’umano, si è manifestata e tornerà a manifestarsi nel corso dei tempi. Anche per quanto riguarda l’esito sorprendente della storia. Infatti Lusina, l’operatrice costretta a calcare le orme della donna in nero, sarà coinvolta e conquistata da quell’amore materno. Si è trovata a percorrere inconsapevolmente la sua stessa Via Crucis. E avrà il privilegio, come se fosse la Maddalena della primizia evangelica, di incontrare dopo la morte il ragazzo sacrificato. Accade in uno stato indefinito tra sogno e realtà, quando lui la rassicura dicendo che «morire è solo non essere visti». Dove il serrato, problematico apologo di Laura Pariani sembra percorso da un brivido religioso.

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Scheda per la Biblioteca Civica di Pavia

Il calore della passione e il mondo ghiacciato della tirannia: storia di Maria e di Jesus N

di Walter Minella

In questo nuovo romanzo, “Di ferro e d’acciaio”, Laura Pariani esplora un territorio che finora non aveva mai toccato: l’utopia negativa, da una parte, cioè la descrizione di un futuro ipertecnologico orribilmente disanimato, e dall’altra il sacro, la rammemorazione e attualizzazione di vicende o aspetti dei Vangeli: una sorta di sacra rappresentazione. All’inizio l’operazione può lasciare sconcertati  ma, a un’attenta rilettura, si rivela potente e originale come sempre. La canzone popolare lombarda posta in epigrafe, che descrive le peripezie di Maria alla ricerca del figlio (“Son madre Maria che ha perso il sò figliuolo/ son madre Maria che cerca il sò figliuolo …) indica, credo, la chiave di lettura di questa profonda e raffinata operazione di ripensamento. Il futuro in cui si svolge la storia non è determinato: ricorda per alcuni tratti l’Argentina degli anni Settanta (le torture e gli assassinii dei giovani oppositori, la protesta delle madri vestite di nero, come le madri di Plaza de Mayo) e per altri un mondo nuovo orribilmente dominato – dopo la guerra dei Cinquanta Minuti - da una tecnoscienza senza altro criterio che l’efficacia, la Forza (il Partito della Forza è al potere, p. 45): dunque una combinazione di repressione esterna totale e di controllo interno che vorrebbe essere globale, attraverso una compiuta colonizzazione dell’anima, attuata dagli Ingegneri Sociali. Lo scopo è l’eliminazione del pensiero meditante, dunque di ogni memoria di quanto di nobile e di alto l’umanità ha creato, a partire dai libri per finire al divieto della conversazione quotidiana (il Silenzio Salutare), all’intromissione nelle scelte più intime di ciascuno (l’età della Fertilità Consentita, dopo i 35 anni), alla segregazione dei vecchi in apposite strutture che poi devono provvedere alla loro eliminazione  (la Legge del Tramonto Sereno, 108-109) ecc. Una caratteristica comune della neo-lingua è il rovesciamento del significato: la tenacia di Maria è “la manifestazione dell’incredulità” (p. 9), l’amore di Jesus per la cultura diventa “ossessione per i libri” (ma “ora per fortuna tutto è cambiato: niente più libri, niente più lungaggini, solo compilazioni antologiche di citazioni essenziali che si possono mandare a memoria”, p. 30), la casa delle torture, la Villa triste di tanti luoghi  nell’Italia nazifascista, diventa Villa Ridente (p.103). Non manca una rigida divisione in caste (accanto agli uomini i Mezzòmini).

In questo contesto, viene rievocata la storia di Maria alla ricerca del figlio perduto, Jesus e, indirettamente, appare la centralità della figura di Jesus. Protagoniste di questa rievocazione sono le donne, tante voci che alla fine  si compongono quasi a formare un coro. Si tratta di una serie di microstorie, ciascuna dotata di una sua autonomia e completezza (la ragazza sedicenne Amira, che viene scoperta ad ‘amorosare’ al di fuori del tempo stabilito con il suo ragazzo, la prostituta Alcyna, a cui dobbiamo una delle più potenti testimonianze su quel Jesus che l’ha amata, l’ha chiamata ‘amica’ e la battezza, la povera Rogelia, che rimpiange la consolazione della preghiera, anche se “pregare è antiscientifico e antisociale e antievolutivo e baobabao”, p. 34) ecc. Non penso sia casuale questo ruolo centrale accordato alle donne: poiché nella vicenda narrata è fondamentale il gioco di allusioni ai testi dei Vangeli, credo che questo fatto rimandi alla testimonianza di una diffusa presenza femminile al seguito di Gesù, che i Vangeli menzionano, anche se, secondo molti studi recenti, non la valorizzano appieno. Sempre in questo contesto, di riferimenti e di allusioni velate, abbiamo nel primo capitolo ‘L’orto’ (il Getsemani), poi “quelli della Geenna” (p. 25) (gli addetti alle torture), il rinnegamento di Pietro, in fondo a uno squallido bar di periferia (p. 43), il suicidio di Giuda nel ‘cortile del fico’, descritto dalla sua compagna Kuba, una militante dura e pura della rivoluzione violenta, infine Procula, la moglie dell’Egemone Pontius, a cui “è sembrato a un tratto  di scorgere qualcosa di se stessa – come un ricordo lontano, improvvisamente ravvivato – in uno dei prigionieri”, “il giovane [che] si è voltato  e l’ha guardata con una sorta di silenzioso sorriso. Come se la riconoscesse” e le ha detto parole di grande, umana sapienza. In questo contesto le figure di Maria N  e di Jesus N sono così potenti e cariche di suggestione, tolta ogni patina di devozionalismo, di soprannaturalismo magico-miracolistico, proprio perché sono così naturali: si potrebbe dire che sono l’umano nella sua autenticità originaria. Anzitutto, si tratta di una madre che cerca, con ostinazione infrangibile, il figlio scomparso: e proprio questo comportamento naturale ed eterno, l’amore di una madre per il figlio, la tenacia, la determinazione nel cercare di difenderlo, diventa sconvolgente. E infatti, l’operatrice H478, addetta alla sorveglianza continua via video di Maria N., considerando il suo “comportamento sconsiderato”,  pensa: “La passione – qualunque essa sia, per un figlio o un amoroso – è proprio una sciagura” (p. 86). Quanto a Jesus, è un giovane uomo, affascinante e, potremmo dire, bello insieme fisicamente, psicologicamente e spiritualmente: una caratteristica questa di cui  parla già il Vangelo di Giovanni che  descrive Gesù come ho poimèn ho kalós, il bel pastore (ma il passo viene tradotto generalmente come il buon pastore). Jesus  è un uomo che ama la vita, la verità e la bellezza: quella possibile nel rapporto libero, franco, autentico tra gli esseri umani, quella della natura, quella depositata nelle grandi opere d’arte. I grandi scrittori vengono citati, per lo più nascostamente, come una sorta di supremi testimoni: Shakespeare (Re Lear, Romeo e Giulietta …), Dostoevskij, che Jesus rilegge di continuo,  Dante, che è presente in molti modi  (la bellissima terzina del canto X del Paradiso sull’anima come ‘angelica farfalla’, la storia d’amore di Paolo e Francesca,  l’inizio della Divina Commedia, nella traduzione milanese di Carlo Porta: deve servire a consolare un popolano, si dà per scontato che il dialetto sia la sua lingua madre e dunque per lui una forma di espressione dell’intimità)  e poi il Salmo 77 sul dovere di ricordare e di tramandare il ricordo alle giovani generazioni, e chissà quante fonti altre che non riconosciamo, perché sono incastonate sommessamente nel testo. La testimone centrale di questa vicenda è l’operatrice addetta alla sorveglianza di Maria, che dapprima conosciamo solo con un numero: scopriamo dopo il suo nome, Lusine, e assistiamo un po’ per volta alla sua umanizzazione, che culmina con il sogno in cui incontra Gesù vivo dopo la morte. «Lei e Jesus stanno passeggiando insieme sulla riva di un lago, lui le sorride circondandole la vita» (p.180) .…  «Jesus la sta rimproverando con dolcezza: “Come hai potuto pensare che io fossi morto?” “Ma tu sei morto davvero, conosco la fossa dove ti hanno interrato” ribatte Lusine sbalordita. Lui ride: “E con questo? Morire è solo non essere visti …”»

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