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«Domani è un altro giorno» disse Rossella O'Hara

 


« Domani è un altro giorno », disse Rossella O’Hara

di Dominique Vittoz

Il romanzo racconta la quotidianità di una bambina – designata sempre con il semplice appellativo di « la Bambina » - dai 6 ai 10 anni, in un paese dell’Alto Milanese chiamato «il Paese della Noia» negli anni Cinquanta. Il filo conduttore è la restitizione – dal punto di vista della piccola protagonista — della sua scoperta del mondo e dell’esplorazione di una sconcertante differenza: da una parte, le proprie percezioni/osservazioni/deduzioni e, dall’altra, le ingiunzioni e i comportamenti degli adulti.
Laura Pariani eccelle nel ricostituire l’insieme di ingenuità, logica e lucidità senza compiacimenti che dà allo sguardo infantile tutta la sua specificità, a volte divertente a volte drammaticamente perspicace (come nel caso delle sofferenze fisiche e psichiche di uno dei suoi compagni di giochi, martirizzato da suo padre).
Il romanzo procede per capitoli brevi (dalle 4 alle 6 pagine in media), ordinati in 4 parti, una per anno, che sono annunciate da titoli che descrivono l’evoluzione della protagonista : 1. La Bambina Senzapaura Galoppando intorno ai sei anni – 2. La Bambina Quasiperduta Volando nei sette anni - 3. La Bambina attonita Scivolando tra gli otto e i nove anni – 4. La Bambina svaporata Traversando la soglia dei dieci anni.
All’interno di ogni parte, ogni capitolo porta il titolo di «Lezione di … », per esempio : Lezione di visione al buio – Lezione di Biblioteconomia – Lezione di metafisica (al femminile) – Lezione di cronologia – Lezione di teoria del consenso ecc. Alcune lezioni sono declinate a due o tre riprese nel corso degli anni e testimoniano le modificazioni dell’apprendimento — spesso amaro — che la Bambina attraversa.
Così, mentre la protagonista cresce, il lettore affina la propria conoscenza degli abitanti di questo paesino congelato tra rigida morale cattolica e lotta contro la povertà, conservatorismo coi paraocchi e innovazioni della modernità; e insieme alla Bambina scopre le terribili colpe degli adulti (violenza contro i minori o contro le donne, compromessi, ignavia, avidità) ma anche le loro speranze (la Zia Giovane che si prepara a diventare maestra).
Il personaggio della Madre focalizza ogni paura e ribellione che la Bambina prova, dando uno scossone alle immagini stereotipate della maternità tenera e soddisfatta.
Al termine di questo percorso infantile, dove la lettura e la coscienza graduale della ricchezza della lingua giocano un ruolo fondamentale e salvifico, la Bambina svanisce in un paesaggio di neve: c’è un pedaggio da pagare per entrare nel « domani » con le sue dinamiche, ma non sarà una perdita secca.
Conosco a fondo il complesso lavoro letterario di Laura Pariani, che da venticinque anni  costruisce le sue opere fuori dal coro per lettori fedeli; e questo romanzo è uno dei suoi migliori. In effetti, attraverso il personaggio quasi favoloso che è questa Bambina autobiografica e nel contempo universale, la scrittrice rivisita con brevità incisiva tutti i grandi temi che danno spessore ai suoi libri: la condizione femminile, il rapporto ambivalente con la tradizione contadina (ricchezza e limiti),  l’attenzione sulle sopraffazioni di chi è più forte o più ricco, l’ipocrisia di una certa visione religiosa, la fragilità preziosa delle favole.
La poesia e l’humour infantili sono onnipresenti, ma accompagnano senza soluzione di continuità delle scoperte terribili: lo stupro impunito di una bambina di dodici anni che si suiciderà qualche mese dopo, perché resta incinta. Le esperienze entrano così in rotta di collisione: giochi e presentimenti del dramma della morte, emancipazione attraverso la lettura e peso dell’oscurantismo, affetti familiari e educazione autoritaria, piacere della scoperta del mondo e crudeltà di certe verità.
Due parole sulla lingua. L’italiano di Laura Pariani è meticciato di termini dialettali e di gergo familiare, che creano un doppio spessore temporale esprimendo da una parte un modo di vita contadino oggi scomparso e d’altra parte un accostamento al mondo, infantile e sovversivo, dove comiche ignoranze si mescolano a intuizioni folgoranti e inquietanti.  Termini colorati ma non folclorici, echi di saggezza proverbiale senza mai cadere nella caricatura, invenzioni verbali.
In questo romanzo di un’infanzia definita da un microcosmo molto caratterizzato, Laura Pariani riesce con grande naturalezza a ridisegnare in ciascuno di noi il territorio perduto delle nostre domande e dei nostri entusiasmi originari.

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La Città di Salerno, 15 giugno 2017

La vita speciale di Bambina.
Ha uno sguardo dissacrante sulle cose rendendo meraviglioso un angolo di terra

di Giuseppe Amoroso

Tutti i pomeriggi, tranne la Domenica, la Bambina cavalca sul suo cavallo Brigliadoro e vola per le disselciate strade del paese della Noia, "cumulo di bruttezze", verso la cooperativa per eseguire le commissioni affidatele dalla Nonna. Tristemente seduti al Circolone, i"Vecchiardi" sono un immobile fondale su cui scorrono sempre le stesse sonnolente ore. Diverso il rito domenicale per la Bambina che a messa contempla per un'ora un enorme San Giorgio dipinto, trionfante su un "vortice" di serpenti verdi e demoni rossi. Ritenuta "un'ochetta senza cervello" per la sua ingenuità e circondata dalla diffidenza dei Grandi a causa degli occhi di colore diverso e perché non piange mai, resta spesso sconvolta dai finali delle favole (soprattutto la insospettisce la "malarbètta" storia di Biancaneve). In una prosa argentea e scintillante di creativi calchi gergali, neologismi e impasti linguistici di sommessa cantabilità, con apici di cercate dissonanze vocali e imbiancature di stupore, Laura Pariani, in "Domani è un altro giorno" disse Rossella O' Hara (Einaudi, pp. 341), trafigge una realtà dura e ripetitiva, scardina e sparge in polvere di meraviglie il livello sociale e antropologico di un cantuccio di terra. Sposta un piccolo segnale per potere carpire i messaggi e gli aloni delle nuove traiettorie: lì dove tutto si confonde, i miracoli sembrano veri e le magie sprigionano quell'aria di quotidianità con cui fanno transitare pure l'impossibile, riuscendo a equiparare memorie e presentimenti. Da qui la registrazione parcellare e immaginifica di una scrittura che rappresenta la presenza-assenza di un mondo attraversato dalla Bambina in un'incantata solitudine (invece, la solitudine di Nonna "diventa saetta furiosa senza terra su cui abbattersi"). Il vero anello dell'iperbolico andare delle parole verso regni onirici si stringe intorno ad eccentrici ragionamenti, a domande assurde che alla piccola protagonista danno l'impressione di infrangersi contro il "complicato mondo degli adulti". Forse la salverà la fuga verso l'inesistente isola di Peter Pan? Le riflessioni della Bambina si "impigliano" negli oggetti e nei minuscoli accadimenti che prendono una sorta di animazione, una parvenza di vita autonoma e misteriosa, tutta da scoprire (nell'armadio "la gonna a quadretti scozzese sospira; nel cassetto gli indumenti "si stringono tra loro per scaldarsi"). Ogni luogo, anche il più ininfluente, si dilata, si fa motore di tante storie: il giardino spalanca fremiti di esistenze remote; una semplice mappa si allarga a spazi infiniti, mentre esistono esseri che trasmettono paura, e la religione mostra l'oscurità dei suoi segreti. Attraverso le "lezioni" di cinquantaquattro capitoli l'autrice racconta la storia esemplare di una ricerca continua di conoscenza, ricavata talvolta dalle "supposizioni", che va dalla conquista di un'istruzione alla progressiva interrelazione di una crescita naturale con il contrappunto massiccio di occasioni deformate dalla fantasia e di frammenti storico-letterari centellinati dentro e fuori della coscienza della Bambina.
Nell'apparente semplicità del dettato si squaderna un romanzo-enciclopedia (dall'impiego di elenchi e tematiche eterogenee come un "racconto fantastico" alla parodia; dalla citazione al paradossso, alla similitudine letteraria), quasi un'ulteriore versione di narrativa di neoavanguardia sapientemente velata di favola e verniciata di bianca innocenza. Sembra "trattenere il fiato", il tempo che scandisce in una affannosa attesa i vari stadi percorsi dalla Bambina: "senzapaura", "quasiperduta","attonita", "svaporata", cresce in solitudine con l'unica compagnia dei suoi sogni e delle sue visioni, mentre le fanno cerchio stravolti personaggi, ombre d'insidia, voci di intrighi, di morte e di simulazione, sequenze sfuggite a un film gotico o proposte dalla "religione dei fotoromanzi"(a cui la più devota è la Serpenta, "narratrice nata") e, seguitando, pensieri che salgono in aria "come palloncini di vario colore calamitati dalla forza di attrazione della luna", l'invisibile gemella Bis e il compagno di giochi Agnusdéi e momenti di calma felice che "preannunciano sempre la voragine". Così, d'un tratto, le donne del cortile sussurrano un "baobabào da megasibille" e il Grand'Infame mostra una "smorfia di disgustosa cattiveria sulle labbra". Sul vicinato "piomba la folgore del Male"; la tragica morte di una giovanissima, la Ridaròla, "irradia le corti con tinte cupe"; in chiesa fa la sua apparizione un sacrista, "fantasma indignato"; e la Bambina che scopre la "fredda solitudine "del paesaggio, avverte di avere desiderio di giustizia", si pone domande senza risposta, percepisce il "dolore ottuso" che proviene da un filmato e teme la "staffetta mortale" che le donne della sua famiglia si passano mettendo al mondo la prole. Per lei, superato il confine dell'infanzia, si leva la "musica" di un volo che sollevandola su nel cielo, "nello spazio delle comete e degli Sputnik", cancella tutto, anche il Paese della Noia, anche la storia di Scarpette rosse che sta leggendo. Ma là, dove esistono tutte le storie del mondo, l'attende il signor Andersen, l'autore della favola, per raccontarle il finale. E quando le vicende perdono il peso che le incolla sulla terra e le certezze si metamorfizzano in simulacri di idee, allora l'autrice opera una netta virata, riaccende le luci su ambienti e visi, sull'"oscurità dei pensieri" e riprende il corso più cronachistico del racconto: ma qualcosa di indefinito riappare e ha il sapore fantastico e insidioso di un' "imbarcazione nera" in attesa. Il colore vivace si rifugia nell'ombra, la parola non affonda nella carne, è lieve, sussurrante, sfugge a se stessa e non trattiene neppure la propria eco. Nella pagina ora vibra un ritmo volutamente discontinuo, fra trasparenze di simboli, silenzi e una sfaldata misura del tempo.

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La Stampa, Tuttolibri, 24 giugno 2017

Via dagli insopportabili adulti con il vento di Rossella O'Hara

Nei soffocanti Anni 50 una bambina ribelle cerca la libertà: le vengono incontro grandi romanzi, cinema e giradischi.

di Lorenzo Mondo

«Domani è un altro giorno» disse Rossella O’Hara: Laura Pariani prende in prestito, per il titolo del suo ultimo romanzo, le parole pronunciate dalla combattiva protagonista di Via col vento. È già un suggerimento di lettura, che si affianca all'immaginario cavallo Brigliadoro della Bambina Senzapaura che troviamo, ad apertura di pagina, mentre percorre in bicicletta le strade del Paese della Noia, Denotano una tenacia nell’affrontare la vita, non disgiunta dal conforto dell’immaginazione. Siamo introdotti con lei in un paese «cisalpino» dal quale si intravede il Monte Rosa, dove la baraggia contende la terra ai contadini e la povertà è sovrana, senza barlumi di confortevole modernità. Ma lo rende soprattutto inamabile una mentalità ottusa che celebra i fasti del «c'era una volta», professa un rigido ossequio alle tradizioni e ai suoi divieti, mortifica i liberi, naturali comportamenti dei bambini.
I Grandi e i Vecchi hanno sempre ragione. Contro questo assioma, e i punitivi corollari, la Bambina adotta una prima elementare reazione: «Sa come trattarli, basta lasciarli parlare, rispondere sempre di sì eppoi fare quel che si vuole». Ben agguerrita, come Rossella O’Hara, contro le avversità. Scostandosi dall’opinione comune, compatisce le comiche disavventure di Stanlio e Ollio. La sua stranezza è quella che la porta a investigare sulle contraddizioni dei Grandi, sulle loro insensatezze e ipocrisie, seguendo una inconsapevole, ideale classificazione del sapere e dell’agire umano: la sociologia, la teologia, la filosofia della storia, l’estetica... Corregge ad ogni passo, con pignoleria, la dittatura della Logica ricorrendo alla Fantasia. E ne dibatte con la gemella Bis che, frutto di invenzione, dà nome ai suoi dilemmi interiori. Cerca anche conferme nei libri, dopo essersi via via emancipata dalle letture ad alta voce di qualche più sensibile familiare. «È una gioia - confessa - tuffarsi nell’immensità oceanica dei romanzi: come si aprisse una finestra per fare entrare la luce»... Al contrario, chiudere un libro perché è il momento di uno dei tanti doveri casalinghi ha sempre il senso di una perdita dolorosa».. E ancora: «In tutti i libri che legge trova tracce di se stessa... L’immagine di Edmond Dantés che fugge dalla sua ingiusta prigione diventa quasi un momento della sua vita, pelle inseparabile dalle sue ossa».
È un riscatto, conoscitivo ed esistenziale, concesso dalla lettura e dalla scrittura. E ci viene raccontato dalla Pariani in pagine dove l’arguzia non riesce a occultare, nell’apprendimento della Bambina, le insorgenze di episodi contrassegnati da brutalità e ferocia, tali da suscitare sgomento e disperazione.
C'é tuttavia un altro aspetto che aiuta a calarsi nel non detto del romanzo. È l'atteggiamento dell’autrice che interviene di volta in volta a spiegare e corroborare le azioni e i ragionamenti della sua eroina. Appoggiandosi alle testimonianze di personaggi illustri, che vanno da Giulio Cesare a Rousseau, ai pittori Impressionisti. La sua è come una seconda voce che si intreccia con quella della Bambina. Vien da dire che Laura Pariani sia proprio la gemella Bis con cui la sua protagonista si intrattiene. Sembra un modo per avvisarci, obliquamente, che il romanzo ha una proiezione autobiografica. Lo avverti nel rancore ma anche nel superstite attaccamento per quel mondo inameno, che si esprime specialmente nell'adesione carezzevole a un linguaggio ricco di saporose inflessioni dialettali. D’altronde la tirannia esercitata dagli adulti sui bambini del romanzo appartiene ad un tempo per buona parte scomparso. I Grandi, più che ricorrendo alle punizioni fisiche, all’apodittico rigore, continuano infatti a guastare e tradire i propri figli con la distrazione dai loro problemi o adottando un irresponsabile lassismo iperprotettivo e assolutorio.

L’«inattualità» del romanzo, di per sé attraente, riguarda il suo «côté» realistico e testimoniale. Ma viene per così dire doppiata dalla sua valenza fantastica, metaforica, che investe i complicati rapporti tra generazioni diverse, la loro inevitabile «guerra». Laura Pariani ce ne parla con una lingua inventiva, immaginosa che travalica gli stessi casi della Bambina Senzapaura. II cielo che «sbandiera l’azzurro primaverile» o «viene sforbiciato dalle rondini»; i pensionati che guardano ogni pomeriggio «l’invecchiare delle ore»; la parola Morte che ha per i ragazzi la tristezza «della parola Fine in fondo ai film». Cose così, lasciando cader l'occhio a caso per ricrearsi...

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Avvenire, 7 luglio 2017

Una bimba nel paese della Noia

di Fulvio Panzeri

C'è sempre, nella scrittura di Laura Pariani, la necessità di perseguire attraverso la narrazione un’indagine morale profonda, entro la quale l’autrice si pone come una sorta di anima interrogante, così da poter mettere a fuoco, in una dimensione terragna e immaginifica al contempo, un ritratto potente e mai stereotipato dei suoi personaggi. È una considerazione che viene dal confronto tra due libri della scrittrice, appena usciti. Da una parte troviamo la ripresa da parte di Interlinea, a quindici anni dalla sua prima edizione, di La foto di Orta, in cui la Pariani affronta l’amore impossibile che aveva ossessionato Friedrich Nietzsche per la «giovane e affascinante russa» Lou von Salomé, raccontando l’incontro tra i due, in una giornata del maggio 1882, al Sacro Monte di Orta. E lo fa attraverso un racconto a due voci. Da una parte c’è la sua di scrittrice che si interroga sul suo protagonista, per comprenderne l’ossessione, per seguirlo in questa sua dolorosa avventura iniziata un giorno, uno solo, sul piccolo lago piemontese. Dall’altra emerge una seconda voce, quella attraverso la quale si rivolge a Nietzsche e cerca di comprendere le profondità non espresse, sviluppando il racconto dei giorni italiani del filosofo, segnati dal ricordo di Lou. Così il libro assume la forma di un avvicinamento all’anima inconoscibile di un grande pensatore e al suo dissidio interiore, cercando nel «non sapere» di conoscere attraverso «una fase di ascolto che mi sembra interminabile e a volte mi genera perfino un'ansia di domande».
Un libro da rileggere per capire come la Pariani rimanga fedele a stessa e al senso della scrittura come passione che distingue le sue storie, «la prigionia in cui mi tiene ogni notte la voglia di raccontare, la fame di storie, lo specchio, le parole che mi sfuggono, l’avidità di vivere attraverso i protagonisti delle mie storie». Sono appunti che troviamo ne La foto di Orta, ma che possono benissimo rivelare anche il senso del suo ultimo romanzo, che cambia scenario e protagonista. Non è più la lirica malinconia di una fine Ottocento a reggere il racconto, ma un attraversamento della memoria degli anni Cinquanta, in un paese dell’Alto Milanese, verso Varese, che verrà chiamato «il Paese della Noia», per la sua immobilità, anche storica, dove la prevaricazione del mondo degli adulti è forte, violenta, selvaggia e dove per poter salvarsi è necessario accedere a un'altra realtà, più immaginifica, dove anche Peter Pan, può cambiare il corso delle cose, anche solo per un momento.
Il titolo è curioso e viene preso a prestito da Via col vento, quasi un modo per indicare attraverso Rossella O’Hara, tutto il tempo delle narrazioni che cambiano, che dai libri si spostano al cinema sul grande schermo, che assumono la forma del fumetto o del fotoromanzo. A salvare un'infanzia, ma soprattutto a farla crescere, a trasformarla in una sorta di mondo parallelo o di grande sogno che travalica le paure del presente, ci sono le storie, solo quelle. Lo sa bene la Bambina, che è la protagonista del libro, una figura di grande impatto espressivo, persa com’è, anche nella sua solidità nel sostenere l’asprezza di un mondo chiuso come quello del Paese della Noia, in una dimensione espressionista, sottolineata dal pastoso linguaggio della Pariani, che assomma termini dialettali, modi di dire del mondo popolare, un italiano denso di accenti colloquiali e del rovello interiore dei pensieri, delle fughe e delle paure.
Eppure la Pariani sa rendere unica la sua Bambina, nel suo crescere, caratterizzato da aggettivi che ne indicano una sorta di movimento ascendente da «senzapaura» a «quasiperduta», da «attonita» a «svaporata», nel mettere in luce la sua estrema solitudine attraverso un'aurea che è quella fiabesca, che raccoglie tutti i toni dell’immaginazione, da quelli d’avventura (e qui entrano in scena i fumetti e la Tv dei ragazzi con Le avventure di Rin Tin Tin) a quelli più propriamente neri delle fiabe più truci fino alla magia di Peter Pan e all’arrivo delle Scarpette rosse di Andersen che permette al libro una svolta imprevista e un finale perfetto nella sua indistinzione e nella sua apertura.
Così in un mondo d’adulti che sembra capire fin troppo bene, soprattutto nel suo carattere più nero e violento rispetto alle donne e ai bambini e nella sua avidità che non conosce ritegni, la Bambina cerca un modo per essere oltre il mondo che gli è stato dato di vivere, oltre la realtà in cui non riesce totalmente a riconoscersi e che vive come sdoppiandosi con la Bambina Bis, una sorta di alter ego immaginario, con il quale confrontarsi, che forse è anche la voce fuori campo della scrittrice, che entra nella storia. E sembra quasi mimetizzare in una coralità di personaggi-ombre, sui quali la Bambina si erge, per la sua capacità di andare oltre il gramo delle faccende
umane, per trovare il tempo delle storie, non tanto a consolare o far sì che si possa evadere, ma soprattutto per poter crescere, per trovare dentro alle storie il senso stesso della vita, la risposta alle ombre dell’infanzia. E per questo alle storie la Bambina non potrà rinunciare, sono parte di lei, «non potrebbe immaginarsi nel futuro senza un libro in mano. Lei senza storie morirebbe».

 

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Corriere della Sera, La Lettura, 9 luglio 2017

Il mondo smisurato a misura di Bambina

di Ermanno Paccagnini

 

Una Laura Pariani ancora una volta diversa, quella di «Domani è un altro giorno» disse Rossella O’Hara. Diversa pur nella fedeltà ai suoi temi più cari (bambini, educazione, condizione femminile), oltre che all’ambientazione: quel suo paesino della «regione cisalpina» tra Ponte Ticino e brughiera, devoto a Sant’Eurosia e dal quale si scorge il Monte Rosa qui identificato come l’«uggioso» Paese della Noia in cui tutto deve restare ottusamente uguale. Ove protagonista è semplicemente Bambina: che nelle 4 parti del romanzo, ciascuna tra i 12-16 capitoletti, attraversa le scuole elementari passando da Bambina senza paura, Galoppando intorno ai sei anni; a Bambina quasi perduta. Volando nei sette anni; a Bambina attonita. Scivolando tra gli otto-nove anni; e infine Bambina svaporata. Traversando la soglia dei dieci anni.

Un percorso di formazione che sottolineano i titoli stessi dei 54 capitoletti, tutti
nel segno di «Lezione di» qualcosa che può riguardare «equitazione», «sociologia classica», «tempo spazializzato e durata reale», «regolamenti celesti», «psicologia», «strategia», per chiudere con «Lezione di esplorazione di un territorio straniero» con finale metaforico-fantastico alla Barone Bagge di Alexander Lernet- Holenia.

Una formazione sui generis invero, perché condotta nel segno d’una minuziosa epica quotidiana fatta di momenti semplici, casalinghi, come pure di «infinite domande» che si scontra sempre più duramente con la «scala di valori abissalmente distante» dei Grandi Garruli: quegli adulti ai cui occhi è un’«incompresa», a partire dal suo piangere per le disavventure di Stanilo e Ollio, incapaci di apprendere la lezione della vita. Tanto più che in Bambina non pochi sono i tratti della stessa autrice, a partire dalla coincidenza di età- cronologia (i sei anni nel 1957 dello Sputnik). È, però, secondo quel tipico andamento del suo narrare i rapporti realtà- fantasia, che nello sfiorare il tema della Memoria si deposita sulla domanda: «Il racconto della propria vita, tra scelte e omissioni, non è forse sempre un’invenzione?»; siglata da un «inventare è un certo modo di ricordare...». Una divaricazione che narrativamente si concretizza da un lato nella invenzione della figura dialettica di una gemella Bambina-Bis; dall'altro nelle supposizioni della stessa autrice su possibili diversi comportamenti di Bambina se più colta o esperta.

Ne viene una epicità fatta di scoperte di cose, comportamenti, deduzioni, assunzioni, dubbi di liceità, suoi scontri con riti ancestrali, che dà corpo a un’ingenuità via via raffinata in una lucidità tendente alla logica e al pragmatismo, e che si deposita in una narrazione che coniuga e fonde realismo e fiabesco.
Perché nella realtà del quotidiano entra la «ricreazione» personale di storie lette «di nascosto» in libri, nei fumetti del Cugino Cipìcchia, nei fotoromanzi della «narratrice nata» Serpenta; o viste o ascoltate in film e telefilm o nei dischi di Zia Giovane (e qui sta un legame con quel suo grande libro che è La perfezione degli elastici del 1997). Storie che divengono la sua stessa storia; boccate «d’aria pura» che soprattutto ne raffinano anche l’espressività e la scoperta del mondo delle parole.

Realtà e fiabesco di cui s’intridono pure i personaggi, siano essi designati con storpiature onomastiche o col loro ruolo. Personaggi soprattutto femminili, a partire da Nonna e Madre, che incarnano il ruolo di chiusura nei suoi confronti, al punto da definire quest’ultima Madre-Geova. Che è designazione quanto mai significativa nel continuo richiamo all’immagine biblica del Dio Geloso nei confronti di chi guarda ad altre verità, come appunto fa Bambina. Ciò che coinvolge l’elemento educativo, in primis cattolico ma non solo (ed ecco le funzioni: Curato, Maestra, Bibliotecaria); come pure la condizione femminile suddita, pur in un contesto familiare in cui latita come di consueto la figura patema, con quei Maschi Adulti, o Tarati se bambini (e tra essi il fratello Nano) che dettano una condizione di vita fatta di veti, ipocrisie, disaffezioni, quando non addirittura di violenze. Com’è del marito della Piegata, chiusa in casa; o del Grand'Infame, massacratore del figlio Agnusdèi (sola figura maschile positiva insieme a Zio-Comunista-ma-bravo), nonché stupratore della bimba Ridaròla, poi suicida.

Un romanzo insieme tenero e duro, sorridente e crudele nel suo darsi in una sorta di prospettiva infantile cronologicamente rovesciata: di Bambina Noncomune che narra a distanza d’un sopravvivere e reagire a un mondo di menzogna e ipocrisia, cercando una propria via di libertà nella lettura, nell'invenzione e nella scrittura; pur entro una solitudine che però vive nel segno del «domani è un altro giorno» inteso non come «accettazione rassegnata dei fatti», quanto di reattività a un destino. E lo fa poggiando su un equilibrio linguistico ricco delle consuete saporose ricreazioni dal dialetto. Ma soprattutto su una lingua inventiva ricca d’immagini che animano e personificano con naturalezza gesti e natura. Facendo di questo romanzo uno dei vertici della sua storia di scrittrice.

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Il Sole 24 Ore, Domenicale, 16 luglio 2017

Microcosmo soffocante

di Roberto Carnero

 

Più leggo Laura Pariani più mi convinco che sia una degli scrittori italiani più importanti di questi ultimi decenni. Dico “scrittori” e non "scrittrici”, perché altrimenti limiterei l’affermazione all’ambito femminile, cosa che non intendo fare. La Pariani riesce infatti in ogni suo libro a costruire un mondo,una storia, dei personaggi non soltanto attraverso la fantasia, l’invenzione o la memoria, ma anche - e soprattutto - attraverso la lingua. Una lingua sempre nuova, duttile, perfettamente calzante al contesto rappresentato.

Nel suo ultimo romanzo, «Domani è un altro giorno» disse Rossella O'Hara (Einaudi), l’autrice ci riporta alla provincia italiana degli anni Cinquanta, in quello che viene soprannominato «il paese della noia», perché tale agli occhi della bambina protagonista e io narrante del libro appare il “natio borgo selvaggio” in cui il destino l’ha collocata. Un paesino non meglio specificato, comunque di area lombarda, in cui - com’è naturale che sia - a dominare sono gli adulti, mentre i bambini sono costretti a subirne le singolari ubbìe e le incomprensibili fisime. Perché lo sguardo straniante della bimba - la quale matura, nel corso delle pagine, dai sei ai dieci anni, raggiungendo una consapevoleza sempre maggiore, che comprende l’esperienza della malattia e persino quella della violenza esercitata dai grandi sui piccoli - fa sì che il mondo degli adulti sia scandagliato con uno sguardo impietoso, capace di mettere in luce assurdità e ipocrisie di un microcosmo chiuso e soffocante, ma dal quale si può evadere, fortunatamente, grazie all’immaginazione e a quegli straordinari strumenti di fuga dal reale che sono la letteratura (i primi libri letti, sui quali troviamo alcune pagine che sono un’intensa riflessione sul valore della lettura) e il cinema.

Ma attenzione, perché preti e suore - siamo, come dicevamo, nell’Italietta del secondo dopoguerra, in cui la cultura cattolica era in molte realtà quella egemone - sono molto sospettosi nei confronti di ciò che potenzialmente rischia di allontanare dalla retta via le anime pie,quali si presumono essere quelle dei bambini (anche se Sigmund Freud e Laura Pariani non sono d’accordo). Così tuona il parroco dal pulpito:«Tenetelo a mente, bambine: il cinema è peccato. Prima di tutto perché è una bugia: nei film si usa infatti ogni arte per fingere all’occhio dello spetta- tore le passioni nel loro aspetto più lusinghiero e seducente». Ciò tuttavia non impedisce alla protagonista di andare a vedere al cinematografo Via col vento (da cui il titolo del romanzo).

Il mondo infantile descritto - con uno sguardo che oscilla tra quello della bambina e quello di una voce narrante adulta (con riferimenti culturali ignoti all’infanzia, spesso esibiti in una chiave di confronto ironico) - è soprattutto quello femminile, perché quello dei maschietti è un universo a parte, fatto di poveri «tarati». La realtà viene resa, dicevamo, attraverso una lingua molto particolare, che contamina felicemente italiano e dialetto: la«Guerra Granda» è la Prima guerra mondiale, pianto si dice «caragnamento», chiacchierina «ciciarina», meridionali «bassitalia», per fare giusto qualche esempio. Ne risulta un impasto lessicale estremamente originale ed assai efficace nel restituire il sapore di un luogo e di un’epoca.

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L'Indice, settembre 2017

La cucina e il focolare

di Matteo Fontanone

 

A partire almeno da La valle delle donne lupo (2011), l’opera romanzesca di Laura Pariani è tra le più interessanti testimonianze di come e quanto si possa lavorare oggi sulla lingua in prosa. La sua ultima uscita per Einaudi, Domani è un altro giorno, disse Rossella O’Hara, definisce già dal titolo l’immaginario narrativo dominante: nel Paese della Noia, specchio di un’Italia ancora parzialmente rurale e anteriore al boom economico, Pariani accompagna la Bambina Senzapaura protagonista del libro nella fascia d’età dai sei ai dieci anni, periodo cruciale per dare i nomi alle cose e interiorizzare le dinamiche della realtà intorno a lei. Costretta suo malgrado a un contesto rigido e conservatore, la Bambina compensa con l’immaginazione le voragini lasciate dagli adulti: il quadrilatero magico che si costruisce, “una boccata d’aria pura nella pesante età del ferro”, ha ai suoi vertici i fumetti e i libri, osteggiati dalla famiglia in quanto perdita di tempo; il cinematografo, che a sentire il prete e le perpetue è motivo di dannazione eterna; i racconti della Serpenta, un’eclettica zitella che le racconta in un impasto italo-spagnolo dei suoi amori in America; i giradischi della Zia Giovane, l’unica in grado di capirla, una maestra delle elementari che è per lei finestra sul mondo di fuori. Per restituire la curiosità definitoria della Bambina, la struttura del racconto si innesta su elenchi, liste e cataloghi attraverso cui viene sistematizzato ogni dettaglio dell’esistenza che sfugge al quotidiano. È nell’assemblare questo edificio che l’autrice mette in pratica anche la riflessione sulla forma, un recupero ponderato della lingua dei lari, una coloritura idiolettica dalla matrice ottocentesca che passa però dallo sguardo sensibile della ragazzina, talvolta involontariamente comico, e quindi si fanciullizza. La grana della narrazione, tuttavia, è ben distante dal confortevole “com’eravamo” che spesso soffoca con la nostalgia dei tempi andati ogni prodotto che si riferisce al passato recente. La vivace fantasia della Bambina, infatti, è frustrata dal bigottismo convenzionale di un universo le cui regole sono ancora quelle proprie della società arcaica, dove la pruderie cristiana sfocia nell’omertà di fronte all’ingiustizia e, in fin dei conti, viene periodicamente tollerata la violenza verso ì più deboli, che siano donne abusate, figli picchiati a sangue o Bambine Senzapaura da tenere a bada quando vogliono leggere i libri e si rifiutano di ricoprire il posto - la cucina e il focolare - che l’umanità ha voluto per loro.

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Scheda per la Biblioteca Civica di Pavia

«Domani è un altro giorno» disse Rossella O'Hara

di Walter Minella

 

“Più leggo Laura Pariani più mi convinco che sia una degli scrittori italiani più importanti di questi ultimi decenni. Dico ‘scrittori’ e non ‘scrittrici’, perché altrimenti limiterei l’affermazione all’ambito femminile, cosa che non intendo fare”. Concordo pienamente con questa affermazione di Roberto Carnero (Il Sole 24 ore, 17 luglio 2017). Aggiungo soltanto che questo giudizio era condiviso dai miei amici e da me sin dall’inizio degli anni ’90, quando pubblicammo su Ulisse, una rivista che allora stampavamo a Pavia, gran parte dei racconti poi confluiti nel primo geniale libro di Laura, Di corno o d’oro (Sellerio). Da allora ogni nuovo testo dell’autrice è per noi una scoperta e una festa, fino a quest’ultimo, ‘Domani è un altro giorno’ disse Rossella O’Hara: un romanzo, certo, in cui la Pariani dispiega le finezze del suo stile irripetibile,  ma anche la ricostruzione del clima in senso lato culturale in cui cresce la protagonista, la Bambina (insieme a Bis, il suo doppio, la sorella gemella che nessuno vede) in un paese dell’alto milanese negli anni Cinquanta. Il titolo già allude a uno degli elementi della cultura di massa che filtravano nel paese e che venivano avidamente assorbiti e rielaborati dalla Bambina nel suo sforzo di comprendere il mondo e di trovare un varco da cui fuggire alle contraddizioni e alle chiusure che avvertiva. Perché questa piccola protagonista è una tipa sveglia e tosta: e noi seguiamo con curiosità, divertimento e  tenerezza le costruzioni intellettuali attraverso cui cerca di dare un senso ai diversi stimoli che le pervengono: i film d’amore e d’avventura, ma anche Stanlio e Ollio, i telefilm (Rin tin tin!), i romanzi per ragazzi, Grand Hotel, le canzonette (Fred Buscaglione, Adriano Celentano), da una parte, e dall’altra le prediche grette del parroco  o i racconti assurdi di suor Giacinta, la Nonna custode della tradizione, le Zie e le Bis-Zie (in particolare Zia Giovane, amica e maestra), la mamma rigida (Madre-Geova), il papà assente, i maschi coetanei, chiamati nani o tarati (l’unica eccezione è l’amico Agnusdèi, peraltro picchiato selvaggiamente dal padre violento e ubriacone, il Grand’Infame), le canzoni popolari, le ragazze grandi con i loro segreti e i loro problemi (allora avere un figlio al di fuori della famiglia era una tragedia e una vergogna indicibile)… Ironicamente (ma con un fondo di serietà), i diversi capitoli del romanzo  sono intitolati ‘lezioni’ (lezione di equitazione, di sociologia classica, di genetica, di logica ecc). – ed è straordinaria la dialettica tra questo titolo serioso e i gustosi racconti sottostanti. Ci troviamo di fronte a una sovrapposizione di piani, che vengono costantemente e implicitamente intrecciati e richiamati: l’autrice colta e moderna descrive con straordinaria finezza la visione del mondo che via via elabora una bambina intelligente, curiosa e giustamente ribelle, in un contesto culturale e sociale limitato e soffocante (in particolare per le donne), che dava per scontato di essere naturale ed eterno e che invece era destinato a tramontare molto rapidamente. Insomma a me pare che questo romanzo, con tutto il suo carattere di invenzione (particolarmente esplicito nella conclusione), sia anche una sorta di autobiografia fantastica dell’infanzia, inserita nel contesto di una valutazione severa di un certo mondo di ieri, tra il contadino e l’operaio (“il Paese della Noia”), di una Lombardia profonda in cui, nonostante tutto, l’autrice è profondamente radicata (si veda la sua lingua originale e screziata di lombardismi). Insomma, la Pariani si colloca al polo opposto rispetto a un autore, che pure suppongo ami, come Pasolini, con il suo vagheggiamento di una civiltà contadina fondamentalmente sana e antichissima distrutta dall’industrializzazione e  da una colata lavica piccolo-borghese. Mi sia consentita una nota a margine personale: io ho conosciuto bene i tempi e i luoghi in cui è ambientato il romanzo di Laura (passavo tutte le estati  a casa dei miei nonni nella campagna vicino al Lago Maggiore) e ho quindi alcuni elementi d’esperienza per giudicare le due opposte interpretazioni. Riconosco che Laura Pariani descrive con straordinaria finezza e profondità le durezze della vita di allora, di cui io avevo e ho ancora un’immagine sfocata e povera, tuttavia non ritrovo, se non parzialmente, nel libro di Laura certe modalità di convivenza tra l’amichevole e il parentale e certe forme arcaiche di cultura popolare, che nel loro senso profondo costituivano una ricchezza nascosta del mondo di allora. Ma questo è un dettaglio:  la sostanza è che questo romanzo è uno splendido libro di narrativa e anche, nascostamente, una sorta di ricerca antropologica, sorretta da una straordinaria finezza percettiva e da uno stile capace di rendere tutte le sfumature dell’animo dei personaggi, guardati con gli occhi (“il sinistro di un azzurro opalescente, il destro color nocciola”) della protagonista, l’indimenticabile Bambina.

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Leggere Donna, n. 178 gennaio/febbraio/marzo 2018

«Domani è un altro giorno» disse Rossella O'Hara

di Federica Pastorino

 

Dopo dieci anni, eccoci di nuovo nel mondo dei bambini parianeschi. Nel 2007, con Dio non ama i bambini, Laura Pariani ci aveva portati tra i figli degli emigrati italiani nella Buenos Aires d'inizio secolo, sporca e crudele.
Con questo romanzo dal lungo titolo, "Domani è un altro giorno" disse Rossella O'Hara, scorrazziamo tra le corti lombarde del secondo dopoguerra, in bilico tra ancestrali credenze pseudoreligiose e la Modernità che avanza «con le doppie polverine per rendere frizzante l'acqua del rubinetto, le cabine telefoniche, il frigorifero, il materasso a molle, il duepezzi e i loculi del cimitero».
Questo mondo prende forma attraverso gli occhi non di una bambina qualsiasi, ma della Bambina. Pariani azzarda una scrittura dove la maiuscola connota persone, luoghi, tempi e oggetti in modo proprio e inequivocabile nel mondo della Bambina. Non leggiamo descrizioni perché nomina sunt consequentia rerum: è facile dunque immaginare come scorra la vita nel Paese della Noia, o quale sia il carattere di Feldmaresciallo Madre, di Padre il Grand’Assente o del Grand’Infame che abita la corte Fetida e perseguita il figlio Agnusdèi; possiamo anche azzardare ipotesi sulle passioni di Zio Comunista-ma-bravo, zio Bicicletta, zia Baldoria e così via.
Per la Bambina le parole sono così importanti che, per timore di dimenticarle, le scrive su striscioline di carta che conserva ovunque, finché non le viene regalato un
Novissimo dizionario della lingua italiana e non dovrà più chiedere il significato ai Grandi Garruli.
La Bambina cresce e a ogni capitolo, intitolato lezione, scopre e impara qualcosa: il mondo dei Grandi è contraddittorio, zeppo di ingiustizie e, anticipatamente, ne sperimenterà anche la brutalità.
Nel suo mondo, invece, vigono regole e gerarchie ben precise, fondate su logiche inoppugnabili: è una Bambina di sei anni, mica «un'ochetta senza cervello», e pertanto non si beve facilmente le storie e le spiegazioni strampalate dei Grandi o gli irrazionali finali delle favole, per esempio, Biancaneve «come può montare sul cavallo di quell’insulso Principazzurro che neanche conosce e lasciare invece quei simpatici sette ometti che l'hanno coccolata per mesi?».
Affascinata dalle parole, la Bambina ama di conseguenza perdersi nei romanzi che Zia Giovane, promessa maestra, le propone, I ragazzi della via Paal, Quo Vadis?, I figli del Capitano Grant, o le riassume quando si tratta di "romanzi per grandi". Poi ci sono le vignette dei fumetti, quelli che il Cugino Cipicchia settimanalmente le presta, con Zorro, l'Uomo Mascherato, Tarzan, o quelli abbandonati da qualche zio nel sottoscala e di cui la Bambina non legge la nuvoletta, perché scritti in spagnolo o francese, ma può interpretare la storia secondo la sua fantasia.
Vani risuonano i moniti solenni del Curato, di suor Giacinta, di Zia Non-Toccare contro la pericolosità di romanzi, fotoromanzi e cinema: nella «bolla senza tempo» dove «sente rivivere dentro sé il rumimo di tutte le Nonnàve della sua famiglia, che [...] le hanno messo nel sangue la voglia di storie», la Bambina colloca anche il buio della sala cinematografica e il divanetto della Serpenta, «la più devota a san Fotoromanzo».
In questo libro, Laura Pariani è la voce fuoricampo che da un futuro indefinito ci guida nella narrazione della Bambina e con delicatezza ne commenta e precisa i ragionamenti.
La Bambina «in tutti i libri che legge trova tracce di se stessa». E noi che leggiamo che cosa troviamo in questo romanzo? Pariani ha infittito a tal punto la trama di finzione e realtà che non è più possibile distinguere i fili autobiografici da quelli provenienti da altri suoi racconti o romanzi: oltre agli echi argentini, giunge il vociare dei poco noti racconti di La perfezione degli elastici (Rizzoli, 1997) e dei bambini di II paese delle vocali (Casagrande, 2000). Ma ciò che più ci sorprende è ritrovarci tra le dita fili che partono da noi stessi. Tra le pagine di questo libro, infatti, noi, Grandi Garruli di oggi, ci scopriamo a rivivere le emozioni della Bambina che siamo stati e che, forse, ancora respira, se non è stata soffocata dalla coltre di ipocrisia che opacizza le nostre vite. «Il passato neH'attimo in cui lo si ricorda non è più passato ma diventa presente [...] più presente di quando la si stava vivendo». Riemerge così l’impazienza nell'attesa dell’inizio del nostro telefilm preferito durante l'ora della merenda; quel fastidio di non essere ancora abbastanza grandi per ascoltare per intero le conversazioni degli adulti; o la rabbia del non essere compresi e addirittura puniti per parole o gesti che nel nostro mondo invece filavano lisci e irreprensibili; nel nostro petto si riforma quel grumo pesante di impotenza contro le ingiustizie e le violenze palesi, ripetute, impunite.
Non è abitudine di Laura Pariani edulcorare le storie, nemmeno quando trattano di bambini: l'infanzia non è pura spensieratezza, come vorremmo credere ora che siamo Grandi, la spietatezza degli uomini, le disgrazie tremende non risparmiano i bambini, in nessun tempo e angolo del mondo, ma «Beati quelli che nella loro infanzia hanno visto molti film e divorato romanzi o fumetti, perché anche se di loro non sarà il Regno dei cieli, perlomeno apprenderanno qualche maniera in più per sopravvivere nel Paese della Noia».

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«Domani è un altro giorno» disse Rossella O'Hara, Torino, Einaudi, Supercoralli, maggio 2017