recensioni di L'uovo di Gertrudina

La Gazzetta del Sud, 8 marzo 2003

Nel passato un rifugio contro la solitudine

di Giuseppe Amoroso

Sterminata pietraia, la "peninsula Brunswich" sembra schiacciata da un cielo cupo. Le misure dello spazio si confondono nel caos. Miniere di carbone a cielo aperto, il mare di colore acciaio, un vento inesorabile e pinguini a perdita d’occhio. Il camion avanza a stento per strade poco definite e per deserte colline sabbiose. Vicino è Forte Bulnes, edificato dai cileni nella metà dell’Ottocento, nella parte più meridionale del continente sudamericano. Dal forte la narratrice può vederel’isola "maledetta" di Dawson e la Missione fino alla quale si è spinta suor Assunta. La voce di lei, evocata da una vecchia registrazione, è un "cristallo di neve", il suo soggiorno in quel paesaggio vuoto mette i brividi. Al di là di quel remoto confine del mondo, bagnato da uno specchio enorme d’acqua "innaturalmente limpida", si profilano le "tombe di ghiaccio" di alcune isole.

Dalle immagini diverse di tre foto trovate in archivio, suor Assunta manifesta un che di enigmatico, crea un’impressione di malessere nella narratrice da molti anni impegnata a girare intorno a questa storia. L’uovo di Gertrudina (Rizzoli, pp. 223) di Laura Pariani mette insieme sei vicende di suore dislocate in varie e poche e legate dal filo rosso del sacrificio e del silenzio ferito e pure delle parole inascoltate, finite nel loro imbuto di dissolvimento. Per scrivere di cose apparenti e segrete, confitte in una realtà durissima e come trasvolante dentro un ferrigno e inchiodato destino, Laura Pariani costruisce una prosa tesa, avvolta intorno ad alcuni centri roventi di propulsione, pronta all’arcata lunga e comunicativa, ma d’un tratto frenata e china sulle sue lacerazioni, gli impatti forti tra colori e sensazioni che vogliono rinvenire proprio nell’impianto cromatico il loro riconoscimento, l’uscita dal groviglio oscuro di partenza. Inconfondibile, tutta anse e voli, circolarità espressive polifoniche e scattanti rimbalzi d’orozzonti (non chiazze lessicali eterogenee) e scoperte d’alternanze, questa prosa sa raccontare senza cedere alla più facile misura delle cose allineate, contigue, mosse da una mano allenata a vergare segni in successione solamente lineare.

Laura Pariani mescola, invece, i mezzi di rappresentazione, illustra e illumina selezionando gli aspetti nodali, accumula le note di commento ma va subito al bersaglio grosso, tagliando i nessi troppo prevedibili, accostando tempi e situazioni lontanissimi tra loro, per ottenere una fusione guizzante. Per risolvere "una storia difficile da raccontare", dal momento che la trama si complica spesso e la "fissità di un unico punto di vista" non soddisfa appieno l’autrice. L’accostamento di linee eterogenee (presa diretta, consultazione di documenti, duplicazione dei piani: quello della protagonista e quello dell’autrice impegnata a dar conto pure della sua operazione di scrittura) fa filtrare l’avventuroso viaggio della religiosa verso il "Fin del Mundo", tra zone d’ombra, "disorientamento infantile", solitudine, contrasti e prove di solidarietà.

Al passaggio glaciale del primo testo subentra la brughiera "sotto l’incendio del cielo", percorsa da un misterioso cavaliere che le "brutte licenze" del parlare di una secentesca conversa del Monastero del Santo Sepolcro ritrae in fosche tinte. Nell’incerta luce di marzo le fantasie delle suore passano "dalle finestre nel mondo", cercano le "robe tanto vaghe", si mischiano con l’"odore" della morte, con l’"assenza di passato". Tutte insieme, le compagne, torturano senza pietà con le parole una di loro, lì rinchiusa per espiare la colpa di un tradimento, e trucidata fra quelle mura da chi, per tanto tempo ha "macinato una tale vendetta dentro di sé".

Tormentatore è anche il Corvo di La voladora, che, nascosto dalla sua "armatura di bellezza", infierisce su suor Alice, incatenata e incappucciata in un sotterraneo di Buenos Aires durante la dittatura militare dei "nuovi crociati". Il silenzio che l’avvolge è uno "spasimo del tempo", il rombo del motore dell’aereo dal quale i prigionieri vengono fatti precipitare nel vuoto è il "pianto di tutte le notti senza ninnenanne". Nel racconto seguente un’indefinibile concatenazione avvince i fantasmi dei sogni e le figure del reale: in preda alla febbre suor Maria Celeste dalla sua cella guarda le colline che circondano il monastero e avverte anche lei uno "spasimo", un "brandello" di lontane memorie, tende l’orecchio nel "tempo impietrito della sera novembrina", per sentire se fuori risuonino i passi del padre Galileo. Si consola inviando al grande genitore lettere accompagnate dal dono di cibi.

Uno stato febbricitante induce pure suor Transito all’"obliquo" dei pensieri". L’avvolge l’atmosfera sfatta, mefitica, del vecchio convento di Verapaz, strangolato dalla boscaglia e dalla laguna. La stordiscono l’odore dell’incenso, i volti e i canti delle consorelle scomparse a causa di una pestilenza e ora tornanti nell’ipnosi del ricordo, insieme con la prediletta Candelaria, verso la quale suor Transito ha nutrito un amore fatto di ombra, di fumo. Custode superstite di un mondo svanito, coperta dal mistero del velo eternamente abbassato, murata nel suo segreto, la suora attende la fine, in uno stregato alveare di sussurri.

Tocca infine alla Gertrude manzoniana far parte dell’irreale tempo della narrazione al cui appello rispondono tutte le figure del coro, le sventurate delle altre vicende. Laura Pariani le convoca per un’ultima comparsa. E chiama se stessa bambina a partecipare con il magico contrappunto della musica al gran finale. Ma il tempo non dà tregua e "si arrotola su se stesso", sconvolge le storie con la fantasia della scrittrice che tutto può, attivando l’immenso potere delle parole. Romanzo del passato, ultimo rifugio contro la solitudine, L’uovo di Gertrudina, decreta il trionfo delle parole che fanno rinascere la vita dalla stessa deriva in cui l’hanno imprigionata.

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L'Avvenire, 8 marzo 2003

Dalla Pariani racconti coraggiosi sui silenzi e i sacrifici delle suore

di Fulvio Panzeri

Con l’ultimo libro, una raccolta organica di racconti, di varia misura, Laura Pariani mette al centro delle sue storie la figura della suora. Si tratta di donne umili e coraggiose che passano attraverso esperienze drammatiche e si portano dentro all’anima il peso del proprio dolore. Ciò avviene soprattutto nella prima parte, un intenso trittico contrassegnato dalla diversità delle figure, così espressionisticamente ritratte dalla Pariani. Si tratta di donne che hanno scelto la vita religiosa e in essa hanno ritrovato lo stesso patimento di Cristo, proprio perché non si sono adeguate all’ordinarietà della loro missione, ma sembrano aver portato all’estremo il messaggio evangelico.

Come è nella sua natura di narratrice, Laura Pariani spazia nel tempo e nei luoghi, proponendoci storie che affondano in un Seicento metaforico, contrassegnato dal particolare impasto linguistico che ha caratterizzato la parte iniziale dell’opera della scrittrice o che coinvolgono direttamente la nostra contemporaneità e una riflessione sul nostro passato prossimo. Così avviene nel primo racconto imperniato sulla ricerca effettuata da una donna, nella cornice suggestiva del lago d’Orta, intorno alla figura di Suor Assunta, una giovane missionaria piemontese che trascorre vari anni in Missione, in quel Sudamerica estremo, detto anche Fin del Mundo, su un’isola "maledetta", "bianca come la balena di Achab". Tornata dalla Missione sceglie il silenzio. Non ha più voce per raccontare quello che ha visto e trascorre il suo tempo con gli occhi e lo sguardo fisso a quelle terre che ha lasciato. È una storia difficile da raccontare, per la voce narrante, il cui tentativo è quello di restituire a Suor Assunta la voce che ha perso nei suoi anni di silenzio. È questo un tema ricorrente nella narrativa della Pariani, ma anche il nucleo fondante del suo essere narratrice: restituire la parola a chi non ha avuto possibilità di esprimersi, per far sì che la propria esperienza non venga macinata nella polvere del tempo.

E nel Sudamerica (l’Argentina dei dittatori) dei desaparecidos troviamo due suore, Alice Domon e Leonie Duquet, la cui vicenda evoca la terribilità del film "Garage Olimpo", di Marco Bechis, tra torture, violenze in balia di un biondino che si era infiltrato tra i desaparecidos, fingendosi un parente. Le suore lo riconoscono, ma non potranno sottrarsi al loro destino, al loro martirio, dopo essere state rotte nel profondo dalle violenze. Verranno gettate in mare, dal portello di un aereo, aprendo le loro "ali" verso la notte e il silenzio. Con una preghiera da pronunciare: "Santa Maria, Madre nostra, o mamma".

Di intrighi, delitti e gelosie, andando alla memoria della Gertrude manzoniana, per altro evocata dalla Pariani, invece parla il terzo racconto, ambientato nel convento del Santo Sepolcro di Tradate. Troviamo anche una intensa ricostruzione del rapporto semplice e umile, segnato da un tenero amore filiale, tra suor Maria Celeste e il padre Galileo, "un padre amoroso e disponibile che, seppur grande filosofo, si degna di adeguarsi al tipico parlare delle donne".

È questo un libro decisamente riuscito, in cui Laura Pariani restituisce dignità e valore alle donne che hanno fatto scelte coraggiose, al loro sacrificio.

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Tuttolibri - La Stampa, 15 marzo 2003

Nel convento della Pariani "L'uovo di Gertrudina": storie di suore, il nuovo capitolo di una lunga esplorazione dell'universo femminile, tra il Cusio e la Terra del Fuoco

di Lorenzo Mondo

Il dato più evidente che accomuna gli ultimi racconti di Laura Pariani (L'uovo di Gertrudina) consiste nell'essere tutti storie di suore. Come se, nella sua lunga esplorazione dell'universo femminile, la scrittrice fosse attratta a un certo punto da quella particolare forma di separatezza che è il recinto claustrale, l'assunzione del velo, l'abbandono della vita ordinaria scelto o imposto (dalle circostanze, dalla crudeltà di altri tempi) per votarsi a Dio e alle sue opere. Il primo racconto, "Il silenzio e l'urlo", oltre ad essere il più avvincente, ha il merito di introdurci nel laboratorio di Laura Pariani, di farci conoscere i suoi strumenti e le emozioni primarie che li guidano. Tant'è che si offre lei stessa come personaggio, motore di una inchiesta che dalle rive domestiche del Cusio la conduce nelle lande desolate della Terra del Fuoco. Vuol scoprire il segreto di Assunta, la suorina piemontese che è stata in missione e, al ritorno in patria, si è murata nel silenzio, negandosi alle consorelle e ai parenti che la considerano partita di mente. A sollecitare Laura sono le storie di paese, le lettere smarrite e ritrovate, le fotografie conservate nel canterano, le canzoni popolari e le filastrocche infantili, le cadenze dialettali, che compongono il filo di oralità sotteso alla lingua sorvegliata e scolpita delle sue pagine. Ha bisogno inoltre di sentire l'aria - di luoghi e persone - respirata dai suoi personaggi, anche i più lontani, divisi e riuniti da quello che è un batter d'occhi nel fluire del tempo. Per questo va a vedere, segue le orme di Assunta che si è spinta in Patagonia per educare e convertire gli indios. Ma l'entusiasmo della suora si smorza in delusione fin dall'incontro con il padre salesiano che prodiga ogni sua cura nell'allestimento di un museo che raccoglie fossili e animali imbalsamati. E' lo stesso destino che incombe sui nativi, già collocati da Darwin all'ultimo gradino nella scala dello sviluppo umano. Sterminati come lupi dai proprietari di terre, quelli che riparano nelle missioni si spengono di malattia e di tristezza, privati dei grandi spazi, prigionieri incompresi di regole incomprensibili. Assunta, che ha saputo apprezzare, con il privilegio del cuore, la loro derelitta umanità, non si darà pace per non averli saputi difendere e porterà in Italia il trauma di quella esperienza. Quando Laura Pariani arriva in Patagonia gli indios non ci sono più, il genocidio è compiuto. E lei si darà il compito di richiamarli in vita facendo erompere in grido il silenzio della sua eroina.

Anche suor Alice, protagonista del racconto "La voladora", è vittima, in modo atroce, della sua generosità e compassione. Nell'Argentina della dittatura militare si dedica con una consorella alla ricerca dei "desaparecidos", all'assistenza dei loro familiari. Arrestata e sottoposta alle più abbiette torture, affronta come una liberazione il volo che dall'aereo la precipita nell'oceano. Altre storie, suggerite dalla realtà e dalla tradizione letteraria (la suor Gertrude manzoniana) introducono nelle mura del convento più terrestri passioni, le smanie della sensualità repressa, il ferro del pugnale vendicativo (o anche il pacato "amor vitae" di suor Maria Celeste che, preparando i suoi dolcini, si sente in sintonia, partecipe della stessa "devozione al naturale" che ispira le speculazioni astrali del padre Galileo Galilei). Tra le malmonacate spicca, per forza di invenzione macabra e allucinatoria la figura di suor Trànsito. E' rimasta sola a custodire un convento decrepito che la foresta tropicale sta ingoiando, e mentre si aggira tra muffe, viscidi animali, catenacci arrugginiti, rimedita il segreto di un amore impossibile spinto ai vertici di una follia che rasenta il sublime. "Sanguino, dunque sicuramente esisto", cogliamo a volo in una pagina del libro. Che è una rassegna di dolorose ferite fisiche e morali, di controverse e pietose passioni. Raccontandole, Laura esalta l'idea di una letteratura che "può anche essere gesto di libertà, di salvezza, perfino di redenzione". Capace di rovesciare un destino, nella condivisione del passato e nell'utopica speranza per i giorni indivisi che verranno.

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Il Sole 24 Ore, 16 marzo 2003

Recluse per liberare l’anima

Sei storie di monache nell’ottimo romanzo di Laura Pariani

di Giovanni Pacchiano

Abbiamo sempre pensato a Laura Pariani come a un’autrice diseguale ma ricca di talento. Forse troppo portata a esternare sulla pagina la propria identificazione con i suoi personaggi e con il loro tormento esistenziale. Ma è per contro capace come pochi, la Pariani, di narrare con passione il dramma profondo di vite che si spendono – complice il destino – senza altra possibilità di adempimento se non la loro concreta fine. Rivolta specialmente, l’attenzione, al racconto di esistenze femminili, spessissimo umili. Sta, la Pariani, dalla parte dei deboli, e soprattutto delle deboli: questo ce la rende, e molto, cara. Ma crediamo che la sua prova più alta e più schietta appaia proprio oggi, con questo nuovo libro di racconti, L’uovo di Gertrudina: sei storie di donne divenute monache.

Ambientate in diverse epoche, dal Seicento a oggi, anzi, a un vicino, e apocalittico, futuro, e in terre diverse, dall’Argentina, al Cile, all’Italia. Storie di silenzio e di ombra, di ricerca di un centro, da parte delle protagoniste, e di spaesamento, se è vero che vivere è, infine, un esilio; dove ricorrono, e non solo per ragioni di semplice trama, termini come "cella", e "celletta", "stanza", "cuccetta", "recinto", "confine", "muro", "serragli", "prigioni", "segrete", "rifugio".

E’, certo, il rifugio della clausura del convento; ma non solo e non sempre; perché, nel racconto più emozionante e più crudo, La Voladora, si parla di reale orribile prigionia, dato che la protagonista, suor Alice, è sequestrata e torturata bestialmente, nella cella di detenzione, a Buenos Aires, dai suoi aguzzini, al tempo della dittatura militare. Luogo chiuso e impedito al mondo, dove il "prigioniero", sia esso metaforico e di sua propria decisione, come accade alle monache del convento, sia invece carcerato e straziato dalla abietta violenza dei persecutori, è comunque in una condizione di rapporto diretto con il cielo: reclusione come premessa per la liberazione dell’anima, ma a patto di quali e quante impervie sofferenze e asfissie (claustrofilia/claustrofobia: la dea a due volti che governa il libro), morali e fisiche! Terrore dello spazio e anelito allo spazio: anche se esso è raggiunto, ad esempio, sempre in La Voladora (occorrerà dirlo: una storia di cui non ci si può sbarazzare consumandola da bravi lettori, "tout court", senza portarsene appresso il fardello di lutto e di rabbia contro i crimini dell’uomo e delle nazioni), attraverso il tuffo nel vuoto. Mediante il quale, gettate a pedate dall’aereo militare argentino, giù, in mare, a capofitto, le vittime della dittatura raggiungono il loro più alto destino di martiri.
Storie nel tempo e senza tempo, come parabole. Alcune relegate lontano, nei regni della solitudine: come la Patagonia di Il colore del silenzio, forse il racconto più bello, certo il più struggente nella malinconica scansione delle tappe della vita di un cuore semplice. Con la giovane missionaria piemontese, suor Assunta, che ha trascorso lunghi anni nell’estremo sud dell’America, condividendo gli affanni degli indigeni, prima di tornare vecchia, in Italia, e di chiudersi in un solitario mutismo. Come se la parola fosse ormai inutile rispetto alle sofferenze attraversate. O il vibrante e opaco (come lo sono i brandelli di ricordi di una vita lontana e perduta) Arcangeli di fumo: storia della vecchia suor Transito, che, rimasta sola, in un antico convento in rovina, nell’America spagnola, dopo una terribile catastrofe che ha sconvolto, forse spopolato, la terra, rievoca la sua vicenda d’amore per la bella Candelaria. Che ha tanto amato fino al punto di seguirla in convento (il volto perennemente celato, per non farsi riconoscere) e trascorrervi una vita. Con un’imprevedibile rivelazione che accende ancora più la tensione della trama. Ci dice, la Pariani, nella pagina finale, di credere al valore salvifico della letteratura. Tesi ammirevole e astratta; se non fosse, qui, avallata da una scrittura sussultante e terrosa, con una lingua colloquiale solcata da parole dialettali e gergali; senza esagerazioni. Tale da dare corpo e anima alle sue storie.

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Avvenimenti, 21-27 marzo 2003

Suore ai limiti del mondo e dell'esistenza. Tra i ghiacciai cileni e argentini le religiose di Laura Pariani

di Filippo La Porta

Da questo commovente, insolito libro "transoceanico" di Laura Pariani – che ci conduce letteralmente al Fin del Mundo, nella Terra del Fuoco cilena – si esprime una straziata nostalgia del sacro, di miti e rituali che diano senso al dolore, alla morte, alla felicità stessa. Pariani, attratta in tutta la sua opera dal mondo arcaico-contadino e dai suoi idiomi, ci trascina molto al di là di questa nostra realtà così immanente e pervasiva. Pensate soltanto ad una suora piemontese che alla fine dell’Ottocento, in una sperduta Missione salesiana sullo Stretto di Magellano, insegna a ragazze stupite dagli occhi alla mongola. Un’immagine che evoca sceneggiati d’antan, lacrimosi e deamicisiani. Eppure L’uovo di Gertrudina (Rizzoli, pp. 219) ci riporta, assai più di tanta letteratura fatta di Cellulari & Televendite, nel cuore della nostra esistenza, delle sue domande silenziose, delle sue preghiere e della sua pena immedicabile; o, per dirla con le parole dell’autrice, riguarda "la polvere che siamo, il nostro niente che reclama amore".

Si tratta di sei storie di altrettante suore, alcune ambientate nel continente sudamericano, all’estremo del mondo conosciuto (e in una vediamo sfilare i macabri torturatori della passata dittatura argentina), altre che si svolgono invece agli estremi dell'’sperienza, là dove innocenza e colpa, male e bene appaiono pericolosamente mescolati. Storie diverse tra loro, in qualche modo contaminate dal "real maravilloso" latino-americano, in cui, ad esempio, la "tenue luminescenza azzurrastra" di centinaia di migliaia di bruchi che ricoprono i muri può sprofondarci nel vuoto del mondo; storie in cui dal corpo macerato e avvilito che ritroviamo in tante biografie e fiabe e narrazioni orali si sprigiona quasi miracolosamente una potente, stravolta spiritualità. Nel primo racconto "Il colore del silenzio", il più bello e più ispirato, Pariani si imbarca alla volta della Patagonia, "in quel mondo di ghiaccio e di vuoto", sulle tracce di suor Assunta, che più di cento anni fa partì missionaria perché così le aveva ordinato in sogno don Giovanni Bosco. La suora, prima diffidente e poi del tutto simpatetica nei confronti degli indios, si chiude in un mutismo volontario, inesplicabile, per gli ultimi 10 anni della sua vita. Pariani ricostruisce la sua esistenza con scrupolo documentario, usando una lingua insieme referenziale e vibrante. Ciò che, infatti, unisce storie così diverse è proprio, come ci viene rivelato alla fine, la musica e il canto che le attraversano. E forse per poter ascoltare di nuovo quella musica invisibile è indispensabile fare esperienza del silenzio che sta "all’origine di tutte le storie".

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Il Secolo XIX, 24 marzo 2003

Quelle suore recluse, ma libere

di Sergio Buonadonna

L'uovo di Gertrudina: grandi storie nel bel romanzo di Laura Pariani. Viaggio ai margini dell'esistenza con la forza di un realismo devastante. Dalla Patagonia all'Argentina ai drammi dei sensi, protagoniste le suore del coraggio e del dolore.

Un sapiente viaggio intorno al dolore.Viaggio aurorale ai margini dell’esistenza come se essa fosse un giorno, ossessionato dalle reciprocità del destino come fossero incastri alla Elias Canetti. E vissuto con la forza di un realismo fantastico, devastante.
Mai come in questo suo romanzo di racconti L ’uovo di Gertrudina (Rizzoli,pp.220) Laura Pariani aveva raggiunto un così alto punto di equilibrio. È il romanzo di una maturità sofferta, ovviamente lucida, nella quale la parola si conferma elemento naturale dello stile Pariani ponendosi tra la drammaticità orale e la discontinuità linguistica.

In questo senso ha la grana de "Il paese delle vocali" con in più la diacronia che induce nel lettore. L ’impressione infatti è quella di sentirsi contemporaneamente attraversati dalla frenesia del raccontare e raggiunti dall’improvvisa dolorosa quiete delle protagoniste; donne, monache che Pariani racconta restituendo loro carne, parola, femmineità, dignità. La dignità di chi per scelta o per costrizione ha dovuto accettare la clausura o semplicemente il convento e da lì ha avuto l’inconsapevole possibilità di guardare l’estraneità del mondo, di conoscerne la crudeltà, di provare qualche volta invano a correggerla.

Perciò nelle sei "storie" che compongono questo romanzo di racconti, Laura Pariani supera la narrazione-documento, che era la matrice di "Quando Dio ballava il tango" e trasfonde i suoi viaggi di testimonianza e di recupero della memoria familiare in Argentina e in Cile in materia letteraria. Così i luoghi stessi dove alcuni dei racconti sono ambientati, l’isola Dawson -al Fin del Mundo nella Patagonia estrema -, l’Argentina degli aguzzini, l’Italia (dal Seicento ai nostri giorni) assumono una dimensione atemporale, nella quale la scrittura e l’immagine si concentrano sulla grandezza di personaggi comuni come suor Asuncion che, strappata agli indios e riportata in Piemonte, non parlerà più. Perché non ha più niente da dire.

Ed è per scoprire le ragioni del suo silenzio e ricostruire il suono della sua voce che l’autrice s ’è fatta detective ed è andata fino al Fin del Mundo a scovare pezzetti di carta, foglietti, appunti, ricordi, vetuste fotografie, brevi testimoni, tutti poveri mezzi con cui ha ridato voce, storia e parola a suor Assunta-Asuncion.

"Che straordinario potere ha l’uomo: creare la sofferenza col niente", pensa suor Alice mentre il Corvo la tortura. Ma né il tanfo d’orina, né l’acre sapore del sangue, né il vomito, né la "picana" nella vagina serviranno a farle confessare quel che non ha da dire. Suor Alice ritroverà la sua libertà nell’Oceano con il martirio massimo: sì lei sarà una "voladora", una tra le mille prigioniere desaparecide di cui i fascisti argentini si liberarono (credettero di liberarsi) scaraventandole in mare dall’aereo.

Quante cose può suscitare la letteratura: in questo caso una domanda semplice, come mai la Casa Bianca non fece nulla per liberare l’Argentina e il Cile da due tra le dittature più orribili del Novecento? Evidentemente allora non aveva tempo per queste cose.
Ne ha invece la scrittrice per entrare nelle domande mute della carne, per vestire di sensualismo suor Carla Francesca in un racconto dove nulla è guardato dallo spioncino, ma dentro, nell’anima con pagine che si inseguono senza svelare mai tutta la verità perché essa ha già devastato la vita, e accompagna il suo personaggio negli aforismi di domande, esistenziali: "la vita è la polvere del dubbio, l’incapacità in cui naufrago, nient’altro". Sembra accarezzarla sotto la gonna suor Carla Francesca, ma appena. Non c’è tempo per profanare, ce n’è per un’ironia alla Buñuel, ma giusto quel che basta per raggiungere suor Candelaria e suor Tránsito in quel piccolo affresco che è "Arcangeli di fumo". "Siamo come canarini vissuti in cattività: moriremmo immantinente, se si aprisse la porta della nostra gabbia". E suor Tránsito non vuol aprirla la porta del convento dove ormai lei e le consorelle hanno vissuto il massimo della vita, ma non può nemmeno svelare il terribile segreto che si porta quando ha chiuso il mondo dietro le sue spalle. Così a suor Tránsito non rimane che vivere di ricordi, minuziosamente descrivere tutte le sorelle, ognuna scolpita in giornate sempre uguali, scandite dai "conti" della sera davanti al camino e dal giro finale per sorvegliare che tutte siano nelle loro celle e tutte chiuderle a chiave. Non rimane a suor Tránsito che assicurarsi che l’estraneo non sia entrato, aspettando l’eternità ma "sperando che il Paradiso non sia una replica di questo convento dove si moltiplicano i patios vuoti, e le ombre negras, e gli echi".

Magnifico, come l’ultimo breve e intensissimo racconto, l’eponimo "L’uovo di Gertrudina", "il nostro niente che reclama amore; qualcosa che teniamo chiuso nella memoria e mai daremmo in pasto agli altri".

Pagine di letteratura che muovono da un minuscolo episodio d’infanzia, ma anche specchio a tutto tondo dell’autrice che infatti così si rivela: "Mi pare a volte che tutti i miei personaggi siano racchiusi nella stessa storia, la mia; e che, senza che davvero me ne rendessi conto, episodi intimi da conservare sigillosamente nel chiuso delle mie fantasie o dei miei rimorsi siano passati sulla bocca di tutti, diventando interpretazioni di altri, pagine di libri".

È vero, infatti dei romanzi della Pariani questo è il più bello. Senza asimmetrie e con molti imbalordimenti.

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L'Unità, 22 aprile 2003

Sei donne in quel carcere chiamato convento

Angelo Guglielmi

L’Uovo di Gertrudina è la storia di sei donne, una storia di dolore e di morte. Le sei donne sono suore e la scena su cui recitano (soffrono e muoiono) è il convento.
Nel convento una approda per scelta, spinta da forte spirito missionario (che la porterà in una sperduta isola di ghiaccio alla Fin del mundo in cui è raccolta una colonia di indios scampati al massacro e dove molti anni dopo Pinochet rinchiuderà i suoi nemici di Unidad Popular), le altre perlopiù per la prepotenza e la viltà degli uomini che non sopportano l’allegria delle donne e la loro libertà. Di Suor Assunta si sa che, partita da un piccolo convento del Piemonte, ha raggiunto l’inospitale (anzi inabitabile) isola della Patagonia dove insegna alle indie (che non volevano imparare) a cucire: poi costretta dai Superiori a rientrare in Italia, negli ultimi dieci di vita si chiude in un assoluto silenzio, rifiutandosi anche ai parenti. Suor Carla Francesca viene uccisa in convento sotto gli occhi compiaciuti delle consorelle, dal conte marito introdottosi furtivamente per esercitare finalmente il suo diritto alla vendetta: vent’anni prima Antonia (che è il suo vero nome) promessa a soli quattro anni al conte, viene sorpresa ad amoreggiare col giovane di cui è innamorata e, sottratta all’ira del conte che vuole punirla con la morte, viene rinchiusa a vita in convento (così allora si usava).

E lo stesso destino tocca a Suor Candelaria, sorpresa in giuochi amorosi con il figlio del maestro di musica (che scorticandosi la pelle nera la segue in convento fingendosi donna) come la stessa sorte a Suor Gertrudina, scoperta a leggere un affettuoso biglietto del paggio. E ancora Suor Alice (la voladora) che, torturata dagli aguzzini argentini (con la Madonnina al collo), vien fatta volare dall’aereo nel nero del mare. E poi c’è Suor Celeste che non resiste alla dolcezza dei ricordi della casa da cui è partita, ma la Madre Superiora non le permette di scrivere al padre che rare lettere e non più lunghe di otto righe.
Tutte queste storie avvengono in tempi diversi anche molto lontani nei secoli ma all’autrice (alla Pariani) "sembrano avvenire nello stesso istante". Certo è difficile sopportare in uno (insieme) tanto peso di tragedia. La Pariani si prova in questa sfida. Perché lo fa? Perché attratta da quell’aria sinistra che sempre alita intorno ai conventi (come a tutti i luoghi chiusi e di prigionia?) Per un amore perverso verso la sofferenza o la ricompensa beata (di beatitudine) che qualche volta si trascina dietro? Non credo. Credo piuttosto per guardare dentro (perlustrare) la condizione (la realtà) da sempre della donna, la sua ricchezza e le sue povertà e forse prima ancora per raccontare storie della sua terra. Terra lombarda di contadini, aspra e ferace, abitata da famiglie in cui l’unità è garantita dal rispetto delle tradizioni, dove i nonni valgono di più dei padri e le regole sono intonate a rigore e severità (spesso tutt’uno con crudeltà) appena addolcita da una vocazione alle rimembranze.

Dell’infanzia e l’adolescenza chi nasce in quelle terre più che nostalgia prova il piacere di una età in cui respira l’odore grasso della terra, assapora il gusto dell’aria, avverte il rumore della crescita tra i tanti animali (che chiama per nome) e i frutti maturi degli alberi. Della lingua che mai imparerà a scrivere (perché i dialetti non conoscono la grammatica) più che i significati delle parole lo affascinano i suoni con cui si costruiscono le filastrocche che ti cullano quando c’è il sole e ti consolano se soffri. E quanto più aspra e insopportabile sarebbe la vita di Suor Assunta e di Suor Celeste e delle altre che, pur appartenendo a famiglie aristocratiche, affondavano le radici in quella terra (in cui la prepotenza della natura era anche la violenza degli uomini che vi abitavano), quanto più dura e nemica sarebbe stata la loro vita senza che di tanto in tanto affiorasse alle (loro) labbra la cantilena di quelle filastrocche e alle loro narici l’odore delle stalle in cui dormono gli animali, alle loro orecchie la ruvida musica della lingua appresa nascendo! Certo la loro sofferenza era solo appena (per qualche inutile secondo) attutita perché il loro (di tutte le donne, mi pare che dica la Pariani) destino, loro condizione (posso dire storica?) è soffrire, patire le violenze degli uomini, decisi a uccidere nelle loro vittime ogni innata disposizione alla gioia o se questa deve essere purché si accompagni (forse coincida) con il dolore e la morte. Immagino che sia questo l’orizzonte di significato in cui la Pariani sviluppa le sue sei storie e, stando a tanto e per questo, è portata a scegliere le situazioni più estreme (e immedicabili) della sofferenza femminile, lì dove i padri decidono quando ancora non sono nate della vita delle loro figlie, i fratelli si promuovono a guardiani che non perdonano degli amori delle sorelle, e padri e fratelli si ergono a giudici spietati delle supposte trasgressioni (sono in realtà richieste di diritto alla vita) di figlie e sorelle, che vanno punite rinchiudendole a vita in tetri conventi. E se tra le sei storie è compresa anche quella di Suor Assunta, che sceglie liberamente la strada della rinuncia (e del silenzio) e fa trasparire il senso di pienezza che ne ricava, oltre che come occasione di scrittura più articolata (e più seduttiva per l’autrice) è forse perché meglio appaia e con più evidenza la disumanità omicida di scelte imposte, l’insopportabilità culturale di così ingiustificata violenza. Almeno a me piace leggere così le sei storie della Pariani, come atto di rivolta contro una cultura incattivita dagli usi e responsabile di autentici assassini e, insieme, come testimonianza di pietà per le vittime. E a conferma di questa ipotesi di lettura è il fatto che le storie della Pariani hanno un’unità di luogo (il convento) ma non un’unità di tempo, trascorrendo dal ‘600 ai nostri anni.

Dunque indicano e denunciano una condizione permanente (le cui radici sono nella cultura di un popolo) di sopraffazione e di violenza esercitata sui più deboli, attraverso la quale tuttavia le vittime acquistano un’altezza di sofferenza e di umiliazione (e qualche volta intellettuale ed etica) che gli conferisce (conferisce loro) una dignità sempre sconosciuta ai loro sopraffattori. Così è sempre stato e così è, sarebbe la conclusione. "Piano, però", scrive in chiusura di libro la Pariani, "non è vero che sia sempre la stessa storia, ché la letteratura puù anche essere gesto di libertà, di salvezza, perfino di redenzione, e nelle pagine dei libri le sorti del passato possono venir buttate all’aria: per cui da una parte i principi padre e i fratelli despoti, un tempo vincenti, ora sono schiacciati per l’eternità dal nostro disprezzo; dall’altra le donne, che furono forzate e sconfitte, ancora possono rivolgerci uno sguardo di sogno".

Con questo auspicio finale e conclusivo la Pariani pronuncia una chiamata di responsabilità alla letteratura ed esprime un gesto di solidarietà e di comprensione (o forse una certezza di risorgimento) ai suoi disgraziati protagonisti.

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L'uovo di Gertrudina, Milano, Rizzoli, La Scala, febbraio 2003

contiene i racconti:

"Il colore del silenzio", pp. 11-81;

"Se tu ti formi rosa", pp. 82-129;

"La voladora", pp. 131-150;

"Per maggiormente regalarLa", pp. 153-170;

"Arcangeli di fumo", pp. 171-211;

"L'uovo di Gertrudina", pp. 213-22.

 

Altre edizioni: L'uovo di Gertrudina, Milano, Rizzoli, BUR 2005