recensioni - interviste

Per me si va nella grotta oscura

Per me si va nella grotta oscura

 

 

All’inizio c’era uno spettacolo

 

Gianni Rodari una volta si rammaricò di non aver inserito nelle sue favole il büs dl'Orchéra, mitica grotta a imbuto che sprofonda nel lago d’Orta: “mi sta qui in gola, perché avrei voluto metterla nella storia del barone Lamberto e non ce l'ho messa, e avrò pace solo quando capirò perché non ce l'ho voluta mettere"... Da qui mi è nata l’idea di Grotta dl'Orchéra Tour”, cercando di coniugare il mio amore per Dante (vedi Milano è una selva oscura, Einaudi 2010) col mio profondo legame col lago d’Orta, dove vivo.
Così per il Ravenna Festival 2011 ho accompagnato il viaggio di Dante e Rodari nella Grotta infernale dell’Orchéra, insieme al coro di voci bianche Libere Note e al gruppo musicale Le Malecorde, con canzoni tratte dalle filastrocche di Gianni Rodari (musicate da Sergio Endrigo e da Virgilio Savona) o appositamente create.

 

tanto per interderci sulla parola fiaba

 

Quando penso alla parola fiaba, mi vengono in mente due immagini forti. La prima è degli anni Cinquanta: il calduccio di una cucina economica, la notte dietro i vetri della finestra, una bambina – che sono io - seduta ad ascoltare la voce di una nonna che racconta in rima: “ucci ucci/ sento odor di cristianucci” oppure “corri corri, don Raimondo/ che i maiali vanno a fondo”. La seconda immagine è di questi giorni: la piccola Viola seduta a ascoltare la nonna – che sono io – che narra storie che iniziano con il misterioso “c’era una volta”. Quasi sessant’anni separano le due immagini, ma evidentemente, nonostante il mondo sia vertiginosamente cambiato, la voce che racconta fiabe, tradizionali o meno, non ha perso la capacità di affascinare: e questo succede per il potere liberatorio del meraviglioso - in cui il silenzio delle cose normalmente indicibili viene infranto - e anche per la sua forza compensatoria - per cui i pollicini della vita ottengono alla fine spettacolari risarcimenti... Ma non è solo per questo: ché le fiabe aprono la mente, proprio perché apparentemente non servono a nulla: come la poesia e la musica, come il teatro o lo sport (se non diventano un affare). Inoltre sono sempre più convinta che continuiamo a avere fame di fiabe, perché sentircele narrare è uno dei piaceri più grandi della vita. Perciò, quando il Ravenna Festival mi ha proposto di lavorare a una fiaba, ho accettato con entusiasmo: come se sentissi agitarsi dentro me l’eredità e il ruminìo di tutte le nonnàve della mia famiglia che mi hanno messo nel sangue la voglia di raccontare.

Essendo oltretutto convinta che le fiabe non abbiano come destinatario esclusivo i bambini, ma possano essere godute con piacere anche dai grandi, mi è venuto naturale prendere come esempio Gianni Rodari che con le sue storie sa strappare sorrisi anche agli adulti più smaliziati. Tanto più che abito proprio sulle rive di quel lago d’Orta, nell’Alto Piemonte, dove Rodari ha ambientato il suo splendido C’era due volte il Barone Lamberto. Si tratta di un lago speciale, che ha tutte le carte in regola per far da sfondo a una fiaba: con un santo che ama i giochi di parole, un fiumicello emissario che fa di testa sua, una grotta misteriosa - il “Büs d’l’Orchéra” – dove sta rintanata un’orca, madre di tutte le creature delle tenebre. Mi pare di ricordare che da bambina, durante una visita alla chiesa dell’isola che sta in mezzo al lago, qualcuno mi mostrò una specie di grande anello d’osso, spiegandomi che era la vertebra della spina dorsale della mitica orca. Da lì ho cominciato a covare dentro di me l’idea del Büs d’l’Orchéra come anticamera di un mostruoso Averno. La grotta in realtà non l’ho mai vista, dato che da più di un secolo è inglobata in una villa malinconica nella parte più solitaria della penisola di Orta. Comunque me la figuro a immagine e somiglianza dell’Inferno di Dante: a forma di grande imbuto che, un girone dopo l’altro, si inabissa verso il fondo del lago.

Da questo cortocircuito tra la suggestione del lago di Rodari e la fantasia dell’Inferno dantesco, nasce il mio testo. Confesso che all’inizio gli amici a cui raccontavo questo progetto erano perplessi: che può fare Dante Alighieri dentro una fiaba?... Eppure anche qui ho seguito Rodari, quando insegna come certi accostamenti insoliti possano bruciare la stoppa che rimpinza di gonfio il fantoccione cascante del trantràn mentale. La fantasia al potere? Ebbene sì... Mettete dunque insieme la curiosità di Dante Alighieri, abituato a scarpinare per oltremondi, e l’ironia con cui Gianni Rodari raccontava le storture e le disavventure della vita, e seguitemi: comincia il Büs d'l'Orchéra Tour. Un Dante avido di conoscere i vizi della modernità e un “virgilio” Rodari scendono nell’abisso del büs d’l’Orchéra dove i cattivi del giorno d’oggi subiscono una didattica punizione. Sette gironi: 1) i prepotenti e i guerrafondai; 2) quelli che inquinano l’ambiente e non fanno la raccolta differenziata; 3) gli egoisti e gli ingordi; 4) quelli che non riflettono prima di agire; 5) i paurosi coi paraocchi; 6) i parolai e i bugiardi (dai politici agli opinionisti televisivi); 7) quelli che sostengono che “la cultura non dà da mangiare”. A ogni cattivo, il suo contrappasso. Però, mentre nell’inferno dantesco le pene durano tutta l’eternità, nel Büs d’l’Orchéra la regola è che i “peccatori”, come li chiamerebbe Dante, restano per un tempo limitato, ovverossìa finché non capiscono che il loro comportamento era sbagliato e si pentono dei danni che hanno procurato agli altri. Naturalmente c’è chi si ravvede in fretta e chi ci mette secoli...

Un’ultima cosa: immergersi nel mondo della fiaba è  vivificante per chi sia disponibile all’esperienza della meraviglia e del sorriso. Perché il sorriso è cultura. Rodari docet.

 

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Per me si va nella grotta oscura, Torino, Didattica Attiva, 2016