recensioni di Quando Dio ballava il tango

Tuttolibri - La Stampa, 23 marzo 2002

Dio, le donne, il tango: in Argentina con la Pariani

di Lorenzo Mondo

Dai piroscafi ai desaparecidos, alla crisi economica: vicende che coprono l’arco di un secolo e si intrecciano in umili genealogie dove si rispecchia la storia della nostra emigrazione. Ogni capitolo intitolato con un nome di donna e introdotto dalla strofa di un tango. Vicende che coprono l’arco di un secolo e si intrecciano in umili genealogie dove si rispecchia la storia dell’emigrazione italiana in Argentina. E’ questo il romanzo di Laura Pariani "Quando Dio ballava il tango", che esprime un grande amore per il paese sudamericano. Proprio perché è molto cara all’autrice la terra lombarda da cui partì in anni lontani qualche suo consanguineo e da cui prende le mosse il suo libro. E’ l’ultraottantenne Venturina Majna, nata nell’Ottocento, la capostipite di una indomita schiera di donne. Alla "Malpensata", la cascina in cui vive sola, riceve la visita della nipote Corazón e della sua bambina. Non le ha mai conosciute, il suo uomo le ha seminate oltremare dopo avere abbandonato, prima per necessità, poi per irrequietezza, la valle del Ticino.

Venturina introduce il tema di fondo del libro, che si ripete nella varietà dei giorni e delle sorti. Padri, mariti e figli seguono l’istinto della fuga, svagati e fantasiosi, infantili e traditori: "Son solamente le montagne che restano al loro posto. Le montagne e noi donne; sempre qui ad aspettare, a non chiedere, a non pretendere, a non seccare". Sia che restino, sia che vadano, portano impresso il destino di Penelope. Sono le custodi della famiglia, rappresentata nelle fotografie appese alle pareti, poggiate sul comò, a fissare i momenti felici, la perduta giovinezza. Ma nel loro ingiallire e sbiadire le fotografie manifestano la loro solidarietà con l’aura dei trapassati, sembrano svelarne la forte presenza. Perché i morti tornano a vivere nella pietà del ricordo, negli anelli di una catena che si prolunga nel tempo soprattutto per la sollecitudine dell’elemento femminile. Parla e parla, Venturina, scusandosi per le inflessioni dialettali, per le argomentazioni tramate di proverbi. E Corazón capisce quanto sia potente l’ancoraggio della memoria, il ritrovamento di una lingua materna che è "l’ultimo rifugio dei perseguitati". Di chi, come lei, soffre di un doppio spaesamento. Infatti ha dovuto fuggire dall’Argentina della dittatura, il suo uomo appartiene alle ombre dei desaparecidos. Alla fine del libro la ritroveremo in Sud America. E’ finita la grande paura ma la crisi economica, quella dei nostri giorni, sembra capovolgere gli antichi rapporti. Adesso è l’Italia che per i figli degli emigranti assume i contorni della mitica "Mérica". Corazón prepara un documentario filmato sugli italo-argentini (sono le sue fotografie, la sua risposta alla vocazione). Attraverso le immagini e le interviste si trova immersa in una rete parentale che sembra riflettere l’orchestrazione vivida, colma di pathos, di "tutti i tanghi possibili".

In questa cornice si collocano tante altre storie che, per quanto allacciate da una ambiziosa regia, si possono leggere per se stesse, senza lasciarsi imbrogliare e distrarre dalle peripezie anagrafiche; apprezzando la verità delle emozioni e la forza della scrittura. Si svolgono a Buenos Aires, ma anche nelle solitudini immense della pampa, alle frontiere selvose del Nord e tra i ghiacci della Patagonia. Recuperano il lamento degli indios sterminati, le traversie avventurose degli anarchici, le lotte di operai e contadini per affermare i loro diritti. Registrano anche storie di ordinari fallimenti e riuscite, di passioni appagate e deluse. Senza dimenticare una serie di eventi simbolici, come la morte di Evita, che è ambigua affermazione di una femminilità trionfante; come l’entusiasmo per il Mundial di calcio che copre il rumore delle repressioni poliziesche, l’urlo dei torturati.
In chi racconta, le espressioni vive o sfocate del dialetto materno convivono con lo spagnolo. Danno anche linguisticamente la sensazione di due mondi, di più mondi, paralleli. Leggiamo in un racconto la storia di un vecchio cacicco indiano che, sconfitto e ridotto in servitù, rimonta l’orologio al contrario per "costringere il tempo a tornare sui suoi passi". Anche questa figura ancestrale affida alla labile eternità della memoria il riscatto di una vita, dei suoi onori e errori. L’immedesimazione di Laura Pariani con gli esiliati italo-argentini diventa a poco a poco, senza parere, la metafora di un universale esilio, di una più fitta nostalgia.

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Il Corriere della Sera, 14 aprile 2002

Lezioni di tango impartite da lassù

di Ermanno Paccagnini

Chi pensava che con La signora dei porci la Pariani avesse raggiunto il suo vertice narrativo deve ricredersi. Perché ancora una volta quel suo mondo poetico trova non solo un ulteriore approfondimento tematico ma anche una più complessa e raffinata strutturazione narrativa. Linguisticamente il discorso di Quando Dio ballava il tango si fa più piano quanto a presenza dialettale, giustamente affiorante nella dizione di chi, emigrato da decenni in Argentina, ne conserva spezzoni espressivi pur nella nuova parlata: per un impasto che s' imparenta piuttosto con Di corno o d' oro. Al quale si richiama un poco anche strutturalmente: almeno quanto a scelta della scomposizione cronologica, che però nel nuovo romanzo gioca un ruolo ben più complesso: complessivamente circolare, ma insieme anche per cerchi concentrici, in quanto ricordi e parole delle 16 donne narranti si muovono in un andirivieni temporale e geografico vicendevolmente incrociantisi, trattandosi di personaggi imparentati tra di loro. Un andirivieni che trova il punto di sutura in Corazón, per molti aspetti controfigura dell'autrice nell'interrogante ansia di capire: una Corazón che nel primo capitolo chiede e ascolta, per farsi poi diretta testimone nell'ultimo. Sedici d onne: sedici voci femminili appartenenti (più o meno legittimamente, stanti rapporti extramatrimoniali all'insegna spesso della doppia famiglia propria dell'emigrante maschio) a sei famiglie, espatriate in Argentina a inizio secolo per fame o per ragioni politiche. Voci racchiuse per nascita tra il 1872 e il 1952, che raccontano in un arco d'anni che va dal 1935 al 2001, spingendosi però all'indietro coi ricordi. A rappresentare un panorama di storia di miseria e di violenza, in parte italiana ma soprattutto argentina: che vede scorrere in occhi e parole ancora tremolanti - appena attenuate da espressioni d'amore - le crudeli repressioni degli scioperi nella Patagonia degli anni Venti e della giunta militare cinquant'anni dopo, la mattanza degli indios e i desaparecidos, i mondiali del 1978 e la morte di Evita; su cui si dipanano altrettante oscure vicende personali consegnate alla parola rivivificante: esistenze anch'esse all'insegna di violenze piccole e grandi, abbandoni, sparizione di uomini e figli, cadute di illusioni, sfruttamenti. E di morte: ricevuta o cercata. Storie di donne spesso sradicate: dalla famiglia e dalla terra; sradicate dei loro stessi affetti da uomini spesso solo golosi del piacere. Storie soprattutto di solitudine e amarezze in cui Dio, più che ballarlo, il tango, è colui che detta secondo misteriosi spartiti i diversi ritmi e figure dei volteggi della vita per ciascuna di loro. E che la Pariani dispone in un crescendo di tensione, densità, malinconia, dolore e commozione poetica, operando con varie strutturazioni narrative: io narrante a sé o altri, terza persona, pronuncia pubblica cadenzata da un segreto pensiero che quale interiore basso continuo ripercorre i più segreti recessi. A consegnarci un romanzo che senza dubbio costituirà uno dei vertici dell'annata narrativa.

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La Gazzetta del Sud, 2 aprile 2002

Tutto invecchia e muore anche l'usura quotidiana

di Giuseppe Amoroso

L'esplosivo nastro di percorsi, tracce, sospetti, innestato da Laura Pariani ne La perfezione degli elastici; le note talora monumentali e fortemente caratterizzate della scrittura della Signora dei porci attraverso le dolcezze e la ieraticità di cifre ermetiche; la costruzione labirintica dai piani diversificati, ironica e eloquente, fra meticolosa cronaca e arditezze visionarie della Foto di Orta filtrano sotto lo stimolo di nuove soluzioni stilistiche nell'ampio corale di Quando Dio ballava il tango. Sugli intermittenti tracciati degli sfondi, fin dall'inizio larghi e nitidi ma con dentro un senso di assillo, muore il giorno in una "bindella di rosso" sfrangiata, lontana e sempre più scura. E' come un segno simbolico che, sigillando territori di anni remoti impone venature malinconiche, pungenti rimpianti delle cose finite.

Si inizia da una perdita, un abbandono. Una vecchia, Venturina, va sulle piste della memoria; accanto la giovane Corazón e la sua bambina, arrivate dalle "praterie slargate all'altro capo del mondo", si sperdono in un paesaggio sconosciuto. Si parla ma le parole cadono in uno spazio vuoto, sono solo deboli fiati nella cucina dalle volte annerite dal fumo, mentre sembra che le ombre dei morti lascino le fotografie alle pareti e inizino a parlare. Il presente è conteso dalle sue macerie, chiama presenze dall'abisso di un secolo, fa emergere la figura di Togn Maina, la sua tristezza al ritorno dall'"ampiezza luminosa degli spazi argentini". Si levano storie vibranti in un'aria stranita che le fa vere e le cancella, ne esalta la consistenza e la vanità.

[...] Prende luce di riflessi Encarnada, figlia di Togn e della seconda moglie Pilar, quando dà l'avvio al racconto di un viaggio adolescenziale per acqua lungo il Paraná, su una corriera sgangherata e sobbalzante nello scenario di Misiones. Vagano strane forme negli occhi della donna, passano i suoi defunti nella furia di un temporale che lascia il posto al fuoco di un sole feroce. Non ha fine il "romanzo muto dei volti" che Laura Pariani lega al filo dei pensieri. Il doppio registro delle tante cose cadute nell'oblio e del loro ritorno nell'affabulazione crea una pagina a più livelli, d'archivio e di magia, dotata di una chiara capacità di storicizzare la condizione di un paese come l'Argentina nel corso degli ultimi cento anni e pure di contrarre, come capita alla rassegnata Catte, la sofferenza di una scelta difficile in "due mesi di onde che battono il ventre della nave".

Nelle storie di tante donne sradicate dalla loro terra d'origine, umiliate e quasi sospese su un vuoto, si affaccia una marea di vicende: non le contorce l'intensità delle passioni, non le enfatizza la successione di eventi terribili. A volte basta lo scuro della sera per nascondere un "mondo di disgrazie" e far "lievitare i sogni". E' sufficiente una canzone per azzerare un inferno. Sere uggiose di pioggia, palazzi che danno l'impressione di "squagliarsi sotto le nubi basse, pigri pomeriggi trascorsi nei bar, quadri di cruda barbarie e scintillio della metropoli, folle di operai in sciopero nella Patagonia degli Anni Venti e le cariche dei soldati, la morte delle "cose dei vent'anni" e il "volgare rumore" della routine traducono l'inesorabile andare di tutto verso la fine. Si affaccia la desolazione del grigiore da certe prospettive insospettabili: da ciò scende sul racconto una velata osservazione di strade polverose di vento, di uomini che patiscono un destino di marionette e di esseri eternamente in catene. [...]

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L'Indice, maggio 2002

Esperanto argentino

di Maria Vittoria Vittori

E' questo il romanzo che ci aspettavamo da Laura Pariani. Una storia corale e intensa che allaccia le sue più grandi passioni: il piccolo mondo delle cascine lombarde, fin dagli inizi nel cuore delle sue opere, e quegli spazi sconfinati da cui è sempre stata attratta: la Patagonia in uno dei racconti del Pettine, il Perù nella Spada e la luna.

Ai due capi del romanzo, come quelle figure che , poste ai margini di un affresco, ne danno le chiavi interpretative, troviamo una nonna e una nipote, Venturina Majna, nata nel 1892 alla Cascina Malpensata, e Corazó Bellati, nata a Buenos Aires nel 1952. Non nascono sotto un cielo propizio le circostanze del loro incontro: Corazón è venuta in Italia nel 1978, dopo che il marito le è stato portato via dai militari argentini. Desaparecido, come tanti dopo il golpe del 24 marzo 1976. Il miglior rifugio che Corazón riesce a trovare, per lei e per la sua bambina, è la Cascina Malpensata, da dove partì alla fine dell'Ottocento il bisnonno Togn abbandonando la moglie e le tre figlie, la maggiore delle quali è per l'appunto Venturina. Inizia dunque da lei la lunga catena delle donne illuse, abbandonate, ferite, che si dipana lungo il romanzo. Sedici donne legate da vincoli di parentela che si passano la fiaccola della testimonianza.

E' proprio attraverso il sapiente montaggio e i loro racconti che l'autrice rende percepibile al lettore la grande varietà geografica dell'Argentina e la brusca repentinità dei sommovimenti sociali, politici, economici che l'hanno attraversata.

Al popolo indio appartengono Eloisa Ramona Huenchur e Socorro López, e di questo popolo tramandano la terribile storia di violenze subite. Le prime emigrate, come Catterina Cerutti e Maria Roveda, della favolosa "Merica" hanno conosciuto gli aspetti più duri, i quartieri fatti apposta per gli italiani, con "conventillos cadenti tra mucchi di immondizia" e un'unica latrina per ottanta persone. E la disperazione di "affrontare un mondo di cui non si sa niente, neanche il paesaggio e la lingua". Ma la vita non è facile neppure per le loro figlie che troppe volte le hanno viste chinare la testa di fronte alle brutali aggressioni dei loro uomini e che a nessun costo vogliono assomigliare a loro.

Consiste dunque in una cifra di disinganno, di solitudine, di deserto affettivo, la profonda affinità che lega i destini di queste donne. Se resistono, se talvolta si salvano, lo devono a una loro forza segreta. Una sorta di talismano che per la vecchia Catte è il tesoro della memoria; per Amabilina è la consolazione dei film d'amore e delle storie d'opera; per Teresa la lettura di Beckett e Kafka; per Mafalda, Martinita e tante altre è la musica del tango. Si distraggono dal dolore bevendo "las palabras exaltadas" delle canzono di Gardel, di quel Gardel. E qual è il linguaggio che più si addice alla musica del tango? Qual è la lingua parlata da queste donne? E' una sorta di esperanto amoroso, lingua ibrida e fortemente espressiva in cui trovano piena cittadinanza i loro diversi idiomi. E' il linguaggio della passione, degli affetti familiari, della memoria in cui parole lombarde convivono con espressioni spagnole, poetiche immagini si uniscono a modi colloquiali, e si insinuano ovunque echi di favole. Ricorrono all'interno di questo grande affresco immagini di un Dio sempre presente: vigilando da lontano, percorrendo la terra "con voce d'uccello", seduto davanti al camino a raccontare favole, o nei panni di un ballerino che entra nel nuovo giorno danzando sulla misica di un tango.

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La Nación, 1 maggio 2002

El país de los sueños perdidos

Laura Pariani es una de las novelistas italianas más premiadas de las últimas décadas. Invitada a la Feria del Libro, habla de su obra, en la que ha recreado la experiencia que vivió en la Argentina como miembro de una familia de inmigrantes

Alejandro Patat

 

Nos vimos por primera vez en Orta, a orillas del lago homónimo, en el Piemonte, cerca de la frontera suiza, donde Laura Pariani instaló su casa-refugio, aislada del mundillo periodístico y editorial de su país. La casa, del siglo IX, está ubicada a un lado de una espléndida escalinata coronada por una iglesia barroca. En una mañana brumosa y fría, ascendimos hasta la cima del monte que domina el caserío y llegamos al Monte Sacro de Orta, un monumental complejo jubilar del período de la Contrarreforma. En esa ocasión y en ese escenario, la escritora italiana me anticipó que regresaría a Buenos Aires para cerrar una cuenta pendiente con la Argentina y, sobre todo, para terminar de dar forma a un libro.

Dos años después de mi visita a Orta, con aquel libro -Quando Dio ballava il tango- ya publicado en Italia, Pariani me cuenta: "Yo nací en 1951, en un pequeño pueblo de la provincia de Milán que se llama Magnago, hoy devorado por la metrópoli. En aquel tiempo era un pueblo de tradición campesina, con calles polvorientas, patios y humildes haciendas rurales. El pueblo estaba rodeado por un páramo, la llamada llanura seca, de piedra y arena, atravesada por el Ticino, tierra inhóspita e inculta, inundada de éricas y brezos. Eran lugares que pertenecían a la Lombardía pobre. Después llegó el boom económico y toda la región quedó atrapada en el triángulo industrial de la Lombardía: las fuentes de trabajo se volvieron el campo o la fábrica".

Para Pariani no es difícil contar los episodios más salientes de su vida. De hecho, en su literatura se entremezclan con singular acierto la experiencia autobiográfica, la vocación narrativa derivada de la tradición oral y la experimentación lingüística. Su estilo se ha vuelto ya inconfundible y su literatura se ha ganado un espacio indiscutido entre los escritores italianos de los últimos años. "Mis estudios me alejaron de la cultura campesina -explica la escritora-; sin embargo, esa cultura quedó ligada al mundo de mi infancia, del recuerdo, de los afectos, o más bien, de los cuentos. Cuando yo era chica, la única diversión era escuchar historias. Yo me crié rodeada de mujeres que contaban cuentos. Ellas eran las herederas de la narración oral, las que transmitían el pasado. Como en todas las zonas pobres, los hombres jóvenes se iban solos para encontrar un trabajo mejor y luego nunca regresar. Nosotras permanecíamos apegadas a los hechos que nos llegaban de boca en boca. Mi pueblo estaba diezmado por la partida de los hombres, al menos hasta la Segunda Guerra Mundial. Las mujeres casadas eran las viudas blancas, abandonadas para siempre, como mi abuela, cuyo marido vino de joven a este país."

La obra de Pariani está signada por la Argentina. Su primer cuento, incluido en la colección Di corno o d'oro (1993), es la historia de un emigrante italiano en el norte argentino. En La perfezione degli elastici (1998), una bellísima colección de cuentos sobre el cine, hay un personaje en silla de ruedas que vive en una pensión de la calle Suipacha, frustrado y envenenado por una historia de vida truncada. En 2000, apareció Il paese delle vocali, una pequeña historia de una maestra rural inmigrante en nuestro país. En fin, su último libro, Quando Dio ballava il tango, está íntimamente ligado a su experiencia autobiográfica.

"Mi primer viaje a la Argentina -confiesa Pariani con un tono de voz reposado y reflexivo- tuvo lugar por deseos de mi madre. Mi abuelo, un anárquico antifascista, había partido en 1926 por motivos políticos. Estaba convencido de que el fascismo caería de un momento a otro y de que su estadía en la Argentina, fruto de la necesidad, habría de durar poco. Mi madre tenía menos de un año cuando él partió. La idea de mi abuelo era regresar, pero el fascismo no cayó. Fue así como, postergando cada año el regreso, mi abuelo construyó su nueva vida en Argentina, donde vivió sus últimos cuarenta años. Primero estuvo en Buenos Aires, luego en Tucumán, en la época de la construcción de las represas. Como era maestro mayor de obras, siguió el recorrido histórico de la construcción de las represas, hasta que, llegado a Neuquén, decidió instalarse."

"Mi abuelo nos escribía cada vez de manera más espaciada. En casa, todos sabíamos que él había formado una nueva familia. En Neuquén había conocido una mujer mapuche, con la que convivía. ¿Qué debía hacer? -se pregunta Laura Pariani, visiblemente emocionada-. ¿Volver a Italia como si nada hubiera pasado? ¿Qué sentido tenía regresar, entonces, para un italiano como mi abuelo?" "Mi madre siempre fue una mujer muy rígida -prosigue-, sobre todo en lo que respecta a la elección de vida de su padre. En cierto sentido, no lo perdonaba. En 1966, ella y yo nos embarcamos hacia la Argentina. Ese viaje estaba ligado a una mezcla insana de sentimientos y reproches: mi madre quería conocer el país que le había robado a su padre. Quería ver de frente al hombre que le escribía inescrupulosamente 'Sei sempre nel mio corazón'. Tenía deseos de descubrir y comprender por qué él se había quedado. Hoy, mi impresión, después de tanto tiempo, es que ella nunca comprendió del todo la elección de su padre. Su inteligencia se nublaba y endurecía ante la dimensión de esa tragedia familiar. Yo crecí en esa atmósfera permanente de reproche y de abandono. Al principio, la historia no me había afectado demasiado. Mi abuelo era ese señor extraño que aparecía en fotos una vez al año, cuando llegaban cartas para Navidad. A mí me parecía casi normal tener un abuelo en la Argentina. Cuando me propusieron el viaje, se me presentó como una aventura: un lugar nuevo, un nuevo paisaje, una nueva lengua."

"Pero el viaje, que debía ser breve, se hizo demasiado largo. Comencé a añorar las pequeñas cosas: los juegos con mis hermanas, los paseos por el pueblo, mis libros. A los quince años, las pequeñas cosas constituyen nuestro universo. Mi madre no quiso ir a Neuquén, mi abuelo vino a Buenos Aires y allí se conocieron. Después, sucedió lo inesperado: mi madre decidió que yo me quedara con mi abuelo en la Patagonia, ella permanecería en Buenos Aires. En ese viaje en tren, a solas con mi abuelo, yo conocí la desdichada sensación del abandono. Sentí rechazo por todo y por todos. Odié a la Argentina, a mi abuelo y a mi madre."

Laura Pariani ha tejido un universo narrativo en que destellan los personajes femeninos, cristalizados en un momento de su existencia que signa un antes y un después en sus vidas, personajes obsesivamente dependientes del recuerdo de ese instante perturbador, enraizado como la gangrena que todo lo carcome. De ahí que su literatura acuda permanentemente al proverbio dialectal, a la vieja pero segura sabiduría de pueblo: 'La vita son debiti que no se pagan', 'si muore siempre un po' quando si parte', 'mal comune, consuelo de tontos', escribe en su última novela, compuesta en una lengua mixta entre italiano, dialecto lombardo y castellano, con frecuentes recreaciones del cocoliche de sus personajes, de su universo mental hecho de enseñanzas milenarias, luego vividas en carne propia.

"Mi abuelo -continúa- vivía a varios kilómetros de Zapala. El hablaba cocoliche; su mujer, mapuche; sus hijos, castellano; yo, italiano. Estuve allí durante meses. El tiempo me enseñó que la tragedia mayor fue el regreso. Si bien yo estaba ansiosa por volver a Italia, mi vuelta estuvo signada por el desgarro. En Italia -tenía ya diecisiete años-, me sentí perdida, aislada, completamente diferente.

Mientras mis compañeras habían crecido al ritmo de la música de los años sesenta, yo me había abismado en una historia familiar, en la frontera del desierto, aislada del mundo y de mis raíces. A mi regreso, estuve mucho peor en Italia que en la Argentina. De improviso, a los ojos de todos era una persona adulta. Para colmo, me asaltaba un gran sentimiento de culpa entrecruzado: ¿no era eso lo que había soñado: regresar?, ¿por qué había terminado por abandonar yo misma a mi abuelo, a mi otra familia? Decidí no hablar más de eso, sepulté por treinta años mi historia argentina. Con el paso de los años, cada uno de nosotros comienza a comprender el pasado. Tardé treincinco años en volver. Mi abuelo y mi madre ya habían muerto. Regresar me hizo bien: necesitaba cerrar cuentas con mi pasado. Primero vine sola, al año siguiente viajé con mi compañero, para compartir con él recuerdos que yo había removido. Volví para reencontrarme con esta ciudad, a la que había amado tanto, que me había dado tantas emociones. Volví para reconciliarme."

La carrera literaria de Laura Pariani nació a partir de la narración, entendida como pequeño bosquejo: hizo sus primeras pruebas de escritura en la historieta. Después, llegaron los libros: Di corno o d'oro, Il pettine, La luna e la spada, publicados a inicios de los años noventa por la prestigiosa editorial Sellerio. En 1999, Pariani obtuvo un gran éxito de público y de la crítica con su premiada novela La signora dei porci, historia de un proceso inquisitorial contra una presunta bruja en la Lombardía campesina del siglo XVI. A ese relato lo siguieron la ya mencionada colección La perfezione degli elastici y las novelas La foto di Orta, Il paese delle vocali y Quando Dio ballava il tango.

Según lo que refiere, la escritura tardó mucho en convertirse en narración: "El oficio de la narrativa es el fruto de un aprendizaje de afinación que consiste sobre todo en leer y releer a aquellos que cada uno de nosotros considera sus maestros" -afirma-. La literatura de Pariani es en Italia un raro ejemplo del entrecruzamiento de al menos tres tradiciones afines, aunque en muchos sentidos profundamente distantes: la norteamericana, con el predomino de la figura da Faulkner; la italiana, en la que domina Calvino; y la argentina ajena a Borges, desde Puig y Soriano hasta Dal Massetto y Raschella, desde Di Benedetto hasta Saer.

"A los escritores que, como yo, buscan permanentemente innovar en el campo de la forma, se les presentan problemas cruciales que tienen que ver con el mercado. Las editoriales se niegan a publicar obras que no respondan a exigencias masivas y no garanticen un mínimo de ventas. En ese sentido, los distintos premios que obtuve me dieron mucha libertad para seguir experimentando."

Quando Dio ballava il tango está dividido en dieciséis capítulos en que alternan diversos puntos de vista femeninos. Son todas historias recogidas por Corazón (inútil recordar en el nombre el eco de viejas lecturas infantiles), en que una decena de mujeres narran sus historias de abandono. La protagonista vive en Italia desde los años setenta, pero ha decidido regresar a la Argentina para volver a hilar una tela destrozada por el tiempo y por la historia. La novela comienza con su exilio en Italia y lo que sigue es una sucesión de relatos en los que Corazón está presente: son las narraciones de las abuelas, las tías, las parientes.

El libro es la crónica de un descalabro, del último intento de reconstitución de una razón familiar, de un porqué consolador, aunque atroz. Es el relato de un sueño y una ilusión sepultados para siempre. En su viaje de regreso a la Argentina, sin sueños ni raíces ("un andar que tenía algo de naufragio", en palabras de la escritora), Corazón se convierte en el símbolo visible de un país a la deriva, que -como reza el título- cumple su destino de tango, su anunciado melodrama. El tema central de toda la obra de Pariani es, en fin, el desencuentro del ser humano consigo mismo, con los propios recuerdos, con lo que lo rodea, y de qué modo se resuelve indefectiblemente ese desencuentro.

"Mi relación con Buenos Aires y la Argentina -concluye Pariani con voz clara y abierta- ha cambiado.Ya no es más la tierra donde murió mi abuelo. Yo tengo un compromiso moral con ese país en este momento tan difícil. He decidido no escribir sólo sobre la crisis argentina, de la que demasiado se habla en Italia, sino sobre su literatura. Tengo un proyecto que llevaré a cabo con Giovanni Giovannetti, el mayor fotógrafo de escritores de Italia: retratar a los nuevos y brillantes escritores argentinos. La Argentina es algo que llevo conmigo. Está claro que no soy argentina, pero conservo una relación intensa con ese país y con la ciudad de Buenos Aires. Yo no sería quien soy si no hubiese ido allí. Y, justamente -dice Pariani, como en un tango- por eso vuelvo."

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Revista de Italianistica dell'Università di Sao Paulo

O tango e o reló: dois percursos de leitura

em Quando Dio ballava il tango, de Laura Pariani

di Vera Horn

RESUMO: A emigração italiana do ponto de vista da mulher, o resgate da memória ao som do tango. Dezesseis mulheres que se entrecruzam constantemente narram os fatos da emigração italiana na Argentina em um arco temporal que compreende dois séculos. Todo o sofrimento e a dor do emigrado e de seu descendente. O resgate de sua memória através de Corazón, que representa o ponto de reunião de todas as histórias e recria as histórias de família para reencontrarse com seu passado. O tango que perpassa as histórias narradas como fundo musical e inevitável passo de dança. Uma viagem ao contrário em busca da memória e da identidade.

PALAVRAS-CHAVE: emigração na Argentina; condição feminina; narrativa circular; tango; memória.

1 O TANGO

Al va e vieni di un tango

Nasce un amore;

al va e vieni di un tango

nasce un tradimento.

Roberto Lino Cayal,

"Viejo Rincon"

Il tango è una storia.
Reinaldo Yiso,
"El tango es una historia"

Ernesto Sábato, refletindo sobre a natureza da literatura argentina, menciona o caráter impreciso, complexo, variável, caótico do homem argentino, parte de uma realidade intrincada e contraditória, em que convivem o gaúcho, o gringo em ascensão social, o emigrado pobre e falido e seus descendentes e o habitante cosmopolita de Buenos Aires, com todo o entrecruzar-se de sentimentos e ressentimentos recíprocos. No entanto, para o autor, é o descendente de emigrantes que encarna com maior vigor o problema. Ele se nutre das histórias e das descrições de uma Europa distante, mas sente que sua terra é o pampa, o rio sem-fim. A pátria é a infância, velhos rostos, uma árvore, um bairro, uma rua qualquer, um velho tango, o assobio de uma locomotiva. E naturalmente uma literatura que dê conta dessa complexidade não pode ser simples ou linear.[1] Quando Dio ballava il tango não é um romance argentino, mas narra a história de emigrados italianos, sobretudo lombardos, e de seus descendentes na Argentina, em um período de tempo que vai de 1898 a 2001, e atravessa episódios marcantes da história argentina, como as greves na Patagônia, a Copa de 78, a morte de Evita, o fantasma dos desaparecidos e a crise econômica atual, do ponto de vista de dezesseis mulheres que se entrecruzam constantemente, em um vaivém temporal que não obedece a uma linearidade, mas oferece contínuas mudanças de perspectiva, graças às memórias das personagens que se alternam. Cada capítulo começa por um nome de mulher e uma estrofe de tango, à maneira de Boquitas Pintadas, de Puig, como dolorosa música de fundo para os acontecimentos narrados. Nas duas pontas do romance, como moldura para as histórias das dezesseis mulheres pertencentes a seis famílias, tanto de origem italiana, em sua maioria, quanto indígena, as personagens Venturina Majna e Corazón Bellati, avó e neta, e um duplo espaço: a Cascina Malpensata, na Itália, de onde o pai de Venturina emigrara nos fins do século XIX e onde Corazón se refugia depois que o marido é dado como desaparecido na Argentina, em 1978; e a Argentina, para onde Corazón retorna depois de muitos anos, nei luoghi dove un tempo è cresciuta: per respirare un’altra volta il loro odore, rinverdire il passato.[2] As histórias dessas mulheres podem ser lidas tanto separadamente quanto como um grande romance coral, em que se entrecruzam lugares e personagens aparentados em momentos diversos da linha do tempo.

No texto, termos dialetais lombardos e empréstimos do espanhol dialogam com o italiano. é uma mistura lingüística de grande efeito que não é nova na narrativa de Pariani, mas que adquire uma coloração diversa em Quando Dio ballava il tango, uma vez que recria o mundo camponês dos fins do século XIX e a emigração em massa para a Argentina: Era nel 1898, e qui si faceva la fame,[3] revela a velha Venturina Majna, dicevano che là in Mèrica c’era un futuro migliore....[4] Dois mundos, duas línguas, muitas das vezes mescladas na nova realidade argentina, e entremeadas de provérbios, cantigas, canções populares. Em uma narração feita de diversas estruturas narrativas, de línguas misturadas, que atravessa um século e dois continentes, perfilam-se a dureza e a crueldade do mundo emigrado, condenado a um duplo desterro, da terra e da língua: [...]la disperazione di affrontare un mondo di cui non si sa niente, neanche il paesaggio e la lingua [...] sentendosi colpevoli di aver abbandonato la propria casa,[5] dividido entre a estraneidade da terra que o acolhe, eterno cielo straniero,[6] e a esperança (quase sempre malograda) de retornar à origem: Italiani che, come lei, vivevano di ricordi e di lunghi sogni per un viaggio di ritorno.[7] O descendente desse mundo sofre a ausência de um ponto de referência e convive com a duplicidade, embora suas raízes pertençam à nova terra. Nesse intrincado universo que remete às considerações de Sábato, a presença do tango é voz e cadência constantes: è una musica da sradicati, confirma Pariani em La perfezione degli elastici.[8] Para a escritora, no tango c’è l’infelicità degli emigranti fra cui è nato, le atmosfere di nostalgia ma anche di rabbia per l’esclusione che vivevano in una Buenos Aires di grandi ricchi che non prevedeva spazi per loro e li escludeva nei ghetti.[9] O tango não só dá voz aos emigrados, a seu senso de desterro e à necessidade da busca de raízes – a pátria é um velho tango, como afirma Sábato –, como plasma, de certo modo, a vivência narrativa.

Pariani afirma que a idéia do título lhe viera de um antigo dito popular argentino, segundo o qual "Deus é argentino". E se Deus é argentino, também é um dançarino de tango.[10] No entanto, no fim da obra encontramos uma outra explicação, inspirada na ópera-tango Maria de Buenos Aires, de Piazzola, na qual uma personagem é abandonada à própria sorte porque Deus dormia quando ela nascera. Contrariamente, Corazón, que como vimos se situa em uma das pontas do romance ao lado de Venturina Majna, veio ao mundo quando no rádio tocavam um tango, un’ampia e inestricabile orchestrazione capace di comprendere tutti i tanghi possibili,[11] e Deus teve vontade de dançar uma "figura" complicada. De resto, não é a primeira vez que o tango surge na obra de Pariani; em La perfezione degli elastici, de 1997, Deus e o tango já apareciam interligados: "[...] quella del tango di un vecchio carillon che mezìu teneva sul suo banco: bastava girare lentamente la manovella e nella mia seconda anima tangueando entrava Dios...[12] O tango atravessa a existência dessas mulheres como um denominador comum, identificando-se em seu destino, ché i tanghi sembravano contare una pena somigliante,[13] na dolorosa condição feminina; le era rimasta la certezza che essere femmina fosse un’esperienza pericolosa [...]. E, se poi ce ne fossimo dimenticate, ci stanno i tanghi a ricordarcelo;[14] e como pano de fundo para a vida, la musica di tango che Dios balla con noi giorno dopo giorno.[15] Os passos do tango, música-dança, refletem o ritmo da dor de Silvia, que é também a dor de Teresa, Raquel, Mafalda, Dulce, Venturina, Adalgisa, Maria, Regalada, Provisoria, Amabilina, Nelida, Socorro, Catterina, Encarnada, Martinita, Raquel e Eloisa: le sembrò che le loro gambe si intrecciassero con il ritmo del suo dolore,[16] além de darem feição ao romance.

Em "Lo spazio, il vento, la radio", de Il pettine, Pariani relembra a experiência dos primeiros emigrantes, camponeses presos a um pequeno mundo, que se vêem projetados em meio a um vasto oceano e a uma terra infinita. é uma sensação que ela mesmo revive quando ouve um tango: A volte la riprovo ascoltando un vecchio tango: è l’America, l’esser soli in una terra straniera, cambiamento, rischio di perdere la propria identità, desencuentros, sradicamento…,[17] experiências que a própria Corazón vive, em seu duplo desterro, na sua vida entre dois mundos paralelos, experiências que viveram suas antepassadas, mulheres que sobreviveram aos homens, solitárias, infelizes, desamparadas por Deus, quando se volta no momento em que nascem, e ao mesmo tempo, penélopes prontas a narrarem suas histórias, seu destino de sofrimentos e esperanças malogradas que reflete, de certo modo, a epopéia da imigração, pois in Argentina [li] aspettava la stessa povertà che in Italia.[18] Uma orquestra polifônica em que a língua também é pátria, pois l’ultimo rifugio per i perseguitati è la lingua materna,[19] em que a língua também é memória: Ci sono momenti in cui il passato lontano costituisce un rifugio così saldo, così profondo, che il resto del mondo sembra scomparire e [...] pare di esistere, di consistere, solo nel suono di quelle antiche parole.[20] O tango está intimamente ligado ao mundo narrado por Pariani, não só porque é o produto de um hibridismo em que confluem diversas culturas, inclusive a do imigrante, mas porque é justamente esse dado que caracteriza o tom triste e meloncólico que o tango adquire em certa época. Muitos dos primeiros tangos refletiam a vida de inferno – doppia vita d’inferno,[21] como conclui Corazón – que conduziam muitos dos imigrantes, em sua maioria italianos. Não satisfeitos com o chamado tango dos "compadritos" então em voga, os imigrantes ansiavam por uma música que os aproximasse de seu passado distante e, assim, "Mi noche triste" marca o início de letras e músicas nostálgicas e tristes, reflexo da cidade e de seus habitantes. Diante do novo ambiente, os emigrantes sentem o peso da distância geográfica e temporal e vivem na lembrança de um país distante e na esperança do retorno: volver, retornar é o verbo dos emigrados, assim como parece ser o verbo-chave do tango. é a nostalgia, a saudade. Para superá-la, a melhor alternativa é encenar a própria vida, reconstruir a própria identidade, exorcizá-la, alimentar-se dela, representando-a. O sonho de "fazer a América" atraiu hordas de imigrantes provenientes de uma Europa empobrecida, muitos dos quais deixavam para trás mulheres e filhos, esperando em um futuro melhor, mas a América, na maioria das vezes, não correspondeu aos sonhos de vida fácil e riqueza, tendo significado para muitos a pobreza dos conventillos: c’erano quartieri apposta per noi italiani […] con conventillos cadenti tra mucchi di immondizia e com una latrina per un’ottantina di persone[22] e a aspereza do trabalho pesado. Tais emigrantes, passaram a conviver, nos conventillos, nos bordéis, nos subúrbios e periferias, com argentinos do interior (dos pampas) ou desfavorecidos e outros emigrantes, homens-limítrofes, na definição de Cátulo Castillo, um dos melhores autores de tango, dando lugar a um cruzamento de culturas que acabou por criar uma expressão cultural própria. Essa "cultura do tango" antecede o próprio tango como expressão artística. Em busca de um refúgio para seus sentimentos e emoções, os emigrantes logo desenvolverão uma música e uma dança que representem os próprios desejos e solidão. Esse tango não se restringe aos desencontros do amor, mas canta a saudade, a fatalidade, os destinos imersos na dor, a tristeza, o sofrimento, além naturalmente do desejo.[23]

Para Hess, o tango constitui, em linhas gerais, um alquimia particular, uma síntese entre dança, música e poesia, produto do encontro entre criollos argentinos ou uruguaios e emigrados, sobretudo italianos. é a manifestação estética do marginalizado, expressão cultural da imigração, dos subúrbios de Montevidéu e principalmente de Buenos Aires. O tango constitui uma síntese entre a invenção da dança de salão que se impôs no século XIX e a riqueza da tradição que produziu infinitas "figuras" de dança, enriquecidas pelas "figuras" e invenções tipicamente latino-americanas ou africanas. é o produto de uma cultura mestiça, no sentido de que meticcio può essere uno stato di cultura fatto di memorie, storia, lingua, usanze, mentalità e ambiente differenti, o dai diversi modi di reagire all’esperienza dell’emigrazione e del viaggio.[24]

Do ponto de vista coreográfico, o tango introduziu a suspensão do movimento, o corte, o que permite a realização de variações e assinala a ruptura da simetria característica das danças de salão do século XIX. Contrariamente a outras danças de salão, em que o homem executa os passos ao contrário, no tango é a mulher que retrocede. A combinação de passos que a mulher segue ao contrário constitui a figura. A imaginação permite criar diversas figuras, em um movimento sinuoso; o homem as encadeia, compondo, assim, uma versão do tango que não poderá ser repetida com exatidão. O tango é uma dança livre, de maneira geral, no entanto existem algumas figuras de base, que podem multiplicar-se ao infinito, como num jogo de encaixe. O tango é um jogo, um movimento, uma dança construída a partir de uma relação diferenciada do tempo. Cabe à dama o papel da espera, o cavalheiro indica a direção a ser seguida. Cada momento, cada instante da "figura", ou da dança em conjunto, cada passo se inscreve em um continuum. O cavalheiro cria a dança a partir de múltiplos elementos, mas cabe sobretudo à dama viver a relação com o tempo. Por fim, o tango segue um percurso de acelerações e pausas bruscas, um andamento entrecortado de quebras e volteios, de cortes e quebradas, de suspensões e mudanças de direção, paradas repentinas e retomadas inesperadas.[25] Todo tango é marcado pela presença de uma mulher, afirmam Collo e Franco. Depois da "nostalgia", a dor do retorno, a mulher é a segunda rainha do tango.[26]

Como os demais elementos que fazem do tango uma arte peculiar, a língua também apresenta características singulares. A língua do tango por excelência é o lunfardo, espécie de jargão aparentado com a "língua do imigrante", na verdade uma mistura de dialeto, espanhol e elementos casuais do italiano.[27] Inicialmente o lunfardo era a expressão da malandragem e das classes populares, mas acabou por impor-se como símbolo do reconhecimento dos argentinos e "língua" do tango. A origem do termo lunfardo é obscura, mas é provável que venha de lombardo, como explicam Collo e Franco: il lunfardo, termine che forse deriva da lombardo, di Lombardia [...] trova una parola per ogni volta che la donna significa una sfumatura dell’emozione, della rabbia, del risentimento. Se i marinai sanno tutti i nomi del vento, il tango non ne dimentica uno fra quelli dell’abbandono.[28] Diversos elementos lingüísticos entram na composição do lunfardo; no entanto, mais de oitenta por cento são de derivação italiana, sobretudo dos dialetos.

Um dos grandes mestres do tango, Enrique Santos Discépolo, definiu essa dança como um romance em três minutos.[29] Quando Dio ballava il tango é um tango-romance, no seu vaivém ritmado entre dois continentes e dois séculos, indo e vindo, volteando, para frente e para trás; nas suas figuras solitárias que se combinam e se encadeiam, como num jogo de encaixe; na sua descontinuidade – narrativa e lingüística – feita de cortes e quebradas; no seu bailado lingüístico, habilidosa mistura de espanhol, dialeto lombardo e italiano; na sua voz de mulher, sensual e dolorida ao mesmo tempo, de penelopi rabbiose,[30] sujeitas à espera e ao abandono – sono gli uomini che decidono, alle donne gli tocca dir di sì...;[31] na sua pungente "nostalgia": era il dolore di non vedere mai un monte, neanche un puggèt di quelli piccoli;[32] na sua sonoridade chorosa e arranhada, tango dos esquecidos, dos excluídos e marginalizados, dos poveri contadini che non sapevano il destino di disgrazie che li aspettava quando, pieni di sogni, erano partiti dall’Italia,[33] das vite complicate tra mondi paralleli, tra Italia e Argentina.[34]

Tango-música, tango-dança, tango-língua – orquestra polifônica, tango-narrativa – orquestração capaz de compreender todas as narrativas possíveis, começando e terminando em Corazón, coração, centro e guardião de toda memória.


2 O RELÓGIO

...comprendere che un mare è più di un mare.

Julio Cortázar, "La cruz del Sur"

Ci fu un tempo in cui le foto fissavano un istante della nostra felicità. Poi i nastri del videoregistratore hanno moltiplicato la banalità. Eppure le guardiamo con nostalgia, come se potessero rivelarci un segreto che aiuti a sopportare la parte del viaggio che ancora resta da fare. Un giorno, tornando sui nostri passi, troviamo l’albero che la memoria aveva ingigantito. Per un attimo sentiamo il sussulto di una rivelazione. Finché non scopriamo che quel che conta non è l’albero, ma quello che ne abbiamo fatto.
Osvaldo Soriano, "Rosebud"

Quando Dio ballava il tango tem raízes antigas na obra de Pariani. A Argentina se manifesta pela primeira vez na história do emigrado Carlén do conto homônimo de Di corno o d’oro (1993), que evoca, embora de maneira menos elaborada, a estrutura de Quando Dio ballava il tango, com a narração do tempo ao contrário; em Il pettine (1995), Pariani narra, em primeira pessoa, sua experiência argentina, quando, com quinze anos, acompanha a mãe que decide partir em busca de um pai que não conhecera, um anárquico antifascista emigrado para a Argentina na década de 20; em La perfezione degli elastici (1997), a Argentina volta a manifestar-se nas histórias do personagem Teresio, um emigrante italiano do Vale do Ticino que, já idoso, revela uma vida de sonhos frustrados. Mas é em Quando Dio ballava il tango que as memórias da emigração italiana na Argentina gritam com força na voz das dezesseis protagonistas femininas.

Nas duas pontas do romance, ou seja, capitaneando o primeiro e o último capítulos, estão Venturina Majna e Corazón Bellati, separadas por inteiras gerações, mas que in qualche punto della distanza che le separa compongono una risposta.[35] Entre as duas personagens, a necessidade de resgatar a memória; Venturina anseia por transmitir a Corazón o enredo que ela desconhece; Corazón, voltando à Argentina depois de muitos anos na Itália, procura recompor a memória com a filmadora e o gravador. A princípio tudo parece solto, desconexo, uguale che far girare lentamente la manopola delle stazioni di una radio, ricevendo frammenti di discorsi in lingue sconosciute, la battuta di una musica, un brandello di notizia.[36] De resto, é o que inspira o trabalho do escritor, como revela Pariani na orelha de Di corno o d’oro: frammenti, brandelli di storie dimenticate e vaghe, che sillabano immagini e frasi da ripulire, elaborare, ricucire, riempiendone i vuoti. Il bello del lavoro di uno scrittore sta proprio in questo: può riscattare delle vicende che nella realtà sono sempre frantumate e caotiche. Corazón fora eleita, desde pequena, como guardiã da memória: la Catte direbbe che questa bambina è la persona giusta, sempre pronta a ascoltare, a tenere a mente. […] Certo bisognerà insegnarle tutte le storie di famiglia, coltivare in lei il gusto del ricordare.[37] Ela parte em busca dos testemunhos deixados pelo tempo como se escutasse uma canção: per sentire nelle note la vibrazione di vite che ci stanno nascoste, cifrate in un giro di accordi,[38] histórias que raccontano una telaragna di rapporti parentali.[39] Memória de vidas, muitas vezes, duplas, como a do pai de Venturina: doppia terra con cui fare i conti [...] e doppia lingua; il più delle volte anche doppia famiglia. Come se si vivesse contemporaneamente in due mondi paralleli.[40] Histórias duras e dolorosas da emigração: aveva fatto né più né meno quello che facevano gli altri: partiti col sogno di affrancarsi nel cuore e poi rassegnati a fare i servi, finendo per mettere radici nel fango di questa città.[41] Histórias de emigrados arrancados à terra e aos afetos – per la mia gente è stato diverso: una disperazione, una fatica, un’esperienza di estraneità…[42] – que medem com lágrimas a distância da pátria: sicché ‘siamo italiani’ ai miei occhi significava soltanto che mepà piangeva ogni volta che arrivava una lettera di somà.[43] Histórias de mulheres desiludidas e infelizes que exigem un nome, una data, un misero aneddoto da raccontare para não cairem no pericolo di scomparire nell’oblio"[44] A necessidade de recuperar essas histórias, de forgiare un altro anello nella catena delle generazioni,[45] deve-se à busca de raízes de Corazón, à exigência de um acerto de contas com o passado, de interrogar para compreender e não se perder na obscuridade de uma vida sem memória, ao desejo de colher os aspectos melhores das tragédias vividas, como as fotos que lhe mostravam, visi di uomini che ancora dai loro ritratti sorridevano, perché la loro scomparsa – morte, abbandono, fuga – li bloccava in un attimo di giovinezza,[46] mas atravessa o romance como uma constante, seja nas histórias contadas pelas fotografias de Encarnada, seja nos quadretti de Socorro, que compõem um mosaico saturato e costellato di storie parallele, biforcandosi e proliferando all’infinito[47], seja no culto aos mortos de Catterina, seja nos filmes da própria Corazón, ché existe solo el pasado, la memoria...[48] Os homens se vão, liberi di andarsene per il mondo,[49] cabe à mulher conservar a memória e transmiti-la. Na ânsia de executar um passo para trás, de reencontrar-se com o passado, com o marido Giordano, desaparecido nos anos da ditadura, Corazón descobre histórias de emigração que nunca imaginara, mas aprende a contemplá-las com um olhar diverso, uma vez que ela mesma vivera um duplo desterro e havia sperimentato sulla propria pelle cosa si prova a vivere in una terra dove non si è nati, parlando un’altra lingua con un accento mai perfetto, quasi fosse un marchio di diversità.[50] Corazón encarna o drama do descendente de emigrado de que fala Sábato. Olhando para trás, ela descobre ter vivido em un’intricata rete di parentele e lontananze.[51]

Quando era criança, Corazón acompanhava a bisavó Catterina em suas idas ao cemitério. Catte preocupava-se com a sobrevivência da memória, com a continuação das histórias que lhe haviam confiado as mulheres do seu destino, certas de que transmitiria o testemunho de como haviam vivido e sofrido, e cultuava com devoção os mortos, com a convicção de que niente è passato [...] tutto è presente: [...] tutto mi sta qui nel cuore[52] – cuore/Corazón. Catte via na própria bisneta a sucessora ideal dessa tradição: quando quella storia fosse morta e sepolta, lei potesse ricordare e trasmettere la memoria di quei tempi lontani a qualcun’altra. Alla piccola Cora, per esempio.[53] Todas as histórias confluem em Corazón, no coração, no centro, que nascera quando na rádio tocavam um tango, un’ampia e inestricabile orchestrazione capace di comprendere tutti i tanghi possibili [54] – todos os tangos, todas as histórias.

No vaivém temporal que se instaura no romance, a figura do relógio é quase obsessiva, sobretudo a do relógio-tempo que roda para trás. Essa não é uma imagem nova na narrativa de Pariani, que em Il pettine, por exemplo, usa as folhinhas de calendário para criá-la: Nella testa, non so come, gli anni cominciano correre all’indietro, come nei vecchi film, coi foglietti del calendario che volano via e si riappiccicano in ordine inverso, l’uno sull’altro. Il tempo mi fa nel cuore una bisa-bòsa scatenata. Indietro, indietro…[55] Em Quando Dio ballava il tango, Encarnada sente sempre più il suo tempo andare all’indietro come quello dell’orologio del porticato;[56] Teresa faceva di questi sogni di un mondo all’incontrario dove il tempo era all’indietro.[57] Mas é o relógio do cacique Inacayal que melhor representa essa idéia e sua relação com a memória. O relógio que Socorro López, sogra de Corazón, tem na parede acima da lareira pertencia ao cacique Inacayal, um velho índio deportado para a capital contra a sua vontade e obrigado a deixar sua região (Neuquén) e seu povo e a viver em uma colônia penal por muitos anos, sem jamais poder rever sua terra de maçãs. Para forçar o tempo a voltar para trás, Inacayal montou um relógio ao contrário e por fim, tendo sido levado para um museu por um famoso professor, nunca deixou de esperar que o tempo voltasse para trás. O relógio era o único mecanismo que lhe permitiria voltar para sua terra de maçãs e reencontrar sua história, sua terra, sua família. O relógio do velho índio corresponde à viagem de Corazón, ao desejo de reeencontrar sua "terra de maçãs", dividida entre la voglia di rivedere luoghi amati e la paura dell’estraneità,[58] pois chi torna dopo un periodo di emigrazione non è mai chi è partito.[59] Como o cacique, ela também confia em um relógio que funciona para trás: Allora Giordano è di nuovo qui, Corazón sente sulla fronte i suoi capelli, può ancora baciarlo: vere le sue labbra, proprio suoi i capelli, gli stessi che le carezzavano la fronte nel vento sulla riva del Río de la Plata […]. Nella penombra della stanza la memoria rifluisce.[60] Corazón reencontra Giordano não onde esperava, mas nelle parole di Servando alla Società di Mutuo Soccorso, nel suo attacamento al compito che si è scelto; nello sguardo di Clarice, ago di una bussola mezzobianco mezzoblù puntato verso il punto perfettamente immobile dell’amore per il suo uomo scomparso; nel movimento vago della mano della zia Amabilina, a tracciare nell’aria il tondo di una carezza al suo Alfredo prima che il vento lo afferri e se lo porti via,[61] e sente que finalmente a vida se recompõe nei suoi occhi, altri occhi,[62] enquanto Deus se prepara para um novo dia dançando um tango.

Para construir o presente, Corazón precisou recriar o passado e traduzir um mundo no outro. Partindo para a Argentina, ela vai em busca de um passado doloroso, qualcosa di sotterraneo e scuro – il dolore del ricordo – la accompagnava.[63]

Em sua viagem ao contrário (de resto, a própria emigração é um doloroso rito de iniciação ao contrário, como afirma Blengino[64]), ela se embate em ulisses que partem, de um modo ou de outro – emigração, abandono, morte, traição – e em penélopes que restam, herdeiras e silenciosas, sempre qui a aspettare, a non chiedere, a non pretendere, a non seccare: o surbì o sciüscià...[65] Guardiãs que conservam fotos em latas de biscoito e penduram fotografias nos espelhos, transmitindo histórias como caleidoscópios; mulheres feitas de coragem que falam a língua das misérias do mundo; mulheres que dançam uma música pungente composta por outras mãos; mulheres feitas de dor e frustração que não desejam ser esquecidas, bailarinas do tempo; mulheres feitas de laceração e desencanto, que cantam com voz melancólica a nostalgia e o abandono; mulheres feitas de feridas e exílio, som de bandoneon. Corazón, ansiosa por "atar as duas pontas da vida", nas palavras do célebre Bentinho, reeencontra sua história em todas as histórias. Concluise, assim, o círculo iniciado no primeiro capítulo quando Corazón retorna à Cascina Malpensata, onde tudo começara um século antes, em fuga da Argentina. Dezesseis histórias que contam outras tantas histórias, nunca em linha reta, mas indo e vindo, volteando em figuras que se encadeiam, como num tango.

ABSTRACT: L’emigrazione italiana vista dalla parte delle donne, il riscatto della memoria al suon del tango. Sedici donne che si incrociano costantemente raccontano le vicende dell’emigrazione italiana in Argentina, in un’arco di anni che comprende due secoli. Tutte le sofferenze e dolori degli emigrati e dei loro discendenti. Il riscatto della loro memoria tramite Corazón, che raccoglie le fila del romanzo e ricrea le storie di famiglia per rincontrarsi col suo passato. Il tango pervade le vicende narrate, come sottofondo musicale ed inevitabile passo di danza. Un viaggio a ritroso in cerca della memoria e dell’identità.

PAROLE CHIAVE: emigrazione in Argentina; condizione femminile; narrativa circolare; tango; memoria.


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[1]Sábato, E Sulla natura della letteratura argentina. (Trad. L. Dapelo). In: _____. Lo scrittore e i suoi fantasmi. Roma: Meltemi, 2000, p. 54-5.
[2]Pariani, L. Quando Dio ballava il tango. Milano: Rizzoli, 2002. p. 285.
[3]Pariani, L., op. cit., p. 13.
[4]Pariani, L., op. cit., p. 17.
[5]Pariani, L., op. cit., p. 77.
[6]cf. Pariani, L. Di corno o d’oro. In: _____. Di corno o d’oro Palermo: Sellerio, 1993, p. 9.
[7]Pariani, L.. Quando Dio ballava il tango, cit., p. 142.
[8]Pariani, L. Ballata del sognatore. In: _____. La perfezione degli elastici (e del cinema). Milano: Rizzoli, 1997, p. 138.
[9]cf. Valentini, C. Tango: un passo avanti. Disponível em: www. dweb.reppublica.it.
[10]Pariani, L. Le donne nella migrazione. Apresentado no seminário Scrittori Migranti - Migranti Scrittori . Biblioteca Civica di Mestre, 20/03/2003.
[11]Pariani, L. Quando Dio ballava il tango, cit., p. 301.
[12]Pariani, L. Ballata del sognatore, cit., p. 147.
[13]Pariani, L. Quando Dio ballava il tango, cit., p. 173.
[14]Pariani, L., op. cit. p. 258-59.
[15]Pariani, L., op. cit., p. 111.
[16]Pariani, L., op. cit., p. 260.
[17]Pariani, L. Il pettine, cit. p. 100.
[18]Pariani, L. Quando Dio ballava il tango, cit., p. 78.
[19]Pariani, L., op. cit., p. 20.
[20]Pariani, L. Di corno o d ‘oro, cit., p. 17.
[21]Pariani, L. Quando Dio ballava il tango, cit., p. 23.
[22]Pariani, L., op. cit., p. 68.
[23]cf. Pfeffer, M. A history of Argentine tango. Disponível em: <http://nfo.net/www/tango.html > Acesso em 25/07/2003 e Lao, M. Le origini. In: _____. T come tango. Roma: Elle U Multimedia, 2001, p. 51-86.
[24]cf. Lao, M., op. cit., p. 51.
[25] cf. Hess, R., Tango. (Trad. F. F. Palese). Bari: Besa, 1997 e Lao M., La danza. In : _____. T come tango, cit., p. 89-111.
[26]cf. Collo, P. e Franco, E. (a cura di), Tango. Torino: Einaudi, 2002, p. IX.
[27]cf. Blengino, V. Oltre l’oceano: gli immigrati italiani in Argentina. Roma: Edizioni Associate, 1990. p. 144.
[28]cf. Collo, P. e Franco, E. (a cura di), Tango. Torino: Einaudi, 2002. p. IX.
[29]Citado por Collo e Franco, op. cit., p. XII.
[30]Pariani, L. Quando Dio ballava il tango, cit., p. 294.
[31]Pariani, L., op. cit., p. 67.
[32]Pariani, L., op. cit., p. 19.
[33]Pariani, L., op. cit., p. 290.
[34]Pariani, L., op. cit., p. 291.
[35]Pariani, L., op. cit., p. 28.
[36]Pariani, L., op. cit., p. 16.
[37]Pariani, L., op. cit., p. 70.
[38]Pariani, L., op. cit., p. 300.
[39]Pariani, L., op. cit., p. 301.
[40]Pariani, L., op. cit., p. 23.
[41]Pariani, L., op. cit., p. 78.
[42]Pariani, L., op. cit., p. 227.
[43]Pariani, L., op. cit., p. 90.
[44]Pariani, L., op. cit., p. 83.
[45]Pariani, L., op. cit., p. 248.
[46]Pariani, L., op. cit., p. 300.
[47]Pariani, L., op. cit., p. 46.
[48]Pariani, L., op. cit., p. 69.
[49]Pariani, L., op. cit. , p. 17.
[50]Pariani, L., op. cit., p. 291.
[51]Pariani, L., op. cit. p. 294.
[52]Pariani, L., op. cit., p. 84.
[53]Pariani, L., op. cit., p. 84.
[54]Pariani, L., op. cit., p. 301.
[55]Pariani, L. Non so se ti ricordi, cit., p. 131-32.
[56]Pariani, L., Quando Dio ballava il tango, cit., p. 50.
[57]Pariani, L., op. cit., p. 191.
[58]Pariani, L., op. cit., p. 287.
[59]Pariani, L., op. cit., p. 15.
[60]Pariani, L., op. cit., p. 301.
[61]Pariani, L., op. cit., p. 302.
[62]Pariani, L., op. cit., p. 302.
[63]Pariani, L., op. cit., p. 285.
[64]Blengino, V., op. cit., p. 41.
[65]Pariani, L., Quando Dio ballava il tango, cit., p.17.

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Quando Dio ballava il tango, Milano, Rizzoli, La Scala, febbraio 2002