recensioni di Il paese delle vocali

Tuttolibri -La stampa 26 agosto 2000

Nell'Ottocento lombardo di Laura Pariani i bambini sono salvati dalle parole

di Bruno Quaranta

Le fatiche di una maestra nel "Paese delle vocali", dove anche il diavolo soffrirebbe Che cosa hanno in comune Giacomo Ceruti detto il Pitochetto e Laura Pariani, di cui è appena uscita l'ulteriore, esemplare parabola ambientata nel miserabile Ottocento lombardo? Entrambi, il pittore settecentesco e una fra le nostre maggiori scrittrici (forse la maggiore?, forse colei che più di altre e di altri avverte l'urgenza di ferirsi con la pagina?), usano una "lingua dialettale", impastano mirabilmente i suoni (i colori) plebei, terragni, sottraendoli alla decomposizione, infine sublimandoli. Come direbbe Giovanni Testori, cultore dell'artista bresciano: "rifondare nel dialetto gli istituti e i sistemi della lingua alta sì da plasmare la carne e l'ossa figurali necessarie alla commovente intrapresa", la sublimazione, la trasfigurazione, appunto. Ecco: il Pitochetto e Laura Pariani compongono un monumento agli stracci, si aggirano nei lazzaretti, collezionano il sudore e lo sputo, l'ignoranza e la bestemmia, la superstizione e l'insulto, riscattando anime e corpi al monte di pietà della Storia. "Il paese delle vocali", ossia Malniscióla, è una sorta di anti?Cuore, la scuola è un mondo irrimediabilmente a sé, graniticamente estraneo (incompatibile?) a questa "contrada di sassi e ruédi", dove "anche il diavolo ci soffrirebbe", "un mondo di dolori incomprensibili", dove "la tristezza l'ha fâj l'övu". Una maestra novizia, Sirena Barberis, arrivata nella terra di brughiera, non può che mettersi le mani fra i capelli. Subito o quasi sfuma il "positivistico" bagaglio, l'ambizione di istruire, di rischiarare (perché i bambini, i fiurìtti di Malniscióla "fin dal momento della nascita sanno della vita solo le cose più buie: la fame, il freddo, le malattie, la paura"). A ricevere (a sfidare) la signorina arrivata dalla laica città è una muraglia di ataviche, terribili remore. Sono in particolare le autorità costituite a sbarrarle la strada. Come il parroco, ul curâdu ("quando è arrivata la notizia della sua nomina, su di lei ne ha dette da tüti i culùr: che non c'è maggior ladro d'un cattivo libro, ché tutti sapienti non si può esere e chél ca al nâss asnén, asnén al mör"). Come il Comune, che "non ci ha mica soldi da buttar via per la scuola", s'impenna il segretario, custode di una visione delle cose identica a quella ecclesiale: "L'istruzione dei bambini di Malniscióla dev'essere adeguata alla loro posizione sociale e al loro futuro, che è quello di essere coloni". Un destino irredimibile, insomma. A meno che... Di lì a un secolo, don Gesualdo Bufalino non indicherà nei maestri, nelle scuole elementari, il primo antidoto contro la mafia? Sirena Barberis capisce, intuisce: non sarà lei a rifare il paese dove "non c'è età della vita più spregiata dell'infanzia", dove "il dolore di esser nati lo scontano soprattutto loro, i fiurìtti, e nessuno si è mai chiesto il perché". Ma la goccia che può e deve offrire è indispensabile, non potrà che scalfire la pietra franata sulla dignità umana. A, e, i, o, u: l'ascesa comincia dalle vocali, quindi verranno le consonanti, quindi le parole, i lumi che sono. "Io credo nel mestiere di maestra ?non manca di ribadire Sirena ?, nell'importanza della scuola, nel valore delle parole". Le darà ragione il pur scettico ispettore del Regio Dazio: "Son convinto anch'io che, ai tempi che corrono, i nomi facciano molte volte le cose... ". Smascherando gli imbrogli, disarcionando i furbi, incenerendo gli equivoci. La scuola e oltre. Le parole sono un ponte che Sirena naturalmente attraversa (è chiamata ad attraversare). Via via Malniscióla le si squaderna davanti, le domanda di interpretare il ruolo del testimone (una scena è suprema, crudele e insieme umanissima: ul 'Rnèstu vuole che la moglie morente si esprima sulla donna che dovrà prenderne il posto, ma non sa come farle capire quanto tenga al suo parere, di qui l'appello alla maestra: "Voi siete donna, e in più ci avete l'istruzione... Io non le so trovare le parole da dighi a memié ... "). Il gesso stride sulla lavagna, "salva", parola dopo parola, lo "spirito" di Malniscióla. "Riprendiamo la lezione di ieri ... ", par di sentire la signorina maestra. Fuori, le strìe, le malefiche figure, sono in agguato. Ma i fiurìtti non le temono più, o le temono sempre meno, folgorati come sono dall'abbecedario, dalla magia che è: a, e, i, o, u...

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Lombardia Oggi, 1 ottobre 2000

La scrittrice bustocca racconta il suo ultimo romanzo L'"Abc" della Pariani
"II paese delle vocali". Una storia di povertà, accaduta in un paesino lombardo alla fine dell'Ottocento, riemerge da un affascinante librettino azzurro sepolto in una soffitta. In Argentina...

di Stefania Barile

Per entrare a far parte di quel mondo, tra il reale e l'inventato, che Laura Pariani presenta ai suoi lettori in "II paese delle vocali", è necessario avvicinare la scrittrice e porle alcune questioni. Tutto il romanzo offre infatti degli spunti importanti non soltanto di ordine stilistico ma anche di contenuto tanto che risulta, nell'impasto linguistico e nell'intreccio degli avvenimenti raccontati, un bell'esempio di rivalutazione dell'espressione dialettale della zona dell'Alto Milanese ormai in disuso e allo stesso tempo la rivisitazione di una realtà contadina, abbandonata e lasciata all'oblio storico e culturale, capace di conservare ancora il suo fascino genuino e, se è lecito, primordiale. Ed ecco in pochi tratti iI profilo narrativo che Laura Pariani dà del suo ultimo libro. Le conte, le cantilene, che lei cita più volte nel "Paese delle vocali", sono autentiche. Da dove le ha tratte per riportarle poi nel suo romanzo? "Rappresentano da un lato i ricordi diretti dell' infanzia, dall'altro la memoria lombarda. Si tratta infatti di fedeli riporti di conti e cantilene tramandate oralmente, ma non solo. Nel testo è possibile trovare anche trasformazioni linguistiche di espressioni tradizionali utili ad uno scopo narrativo ben preciso. In questo libro dunque ho reinventato e ricreato un ambiente contadino introducendo delle espressioni non sempre autentiche ma rimanipolate secondo necessità. In questo modo il dialetto ritorna ad essere lingua viva e si riappropria di quella vivacità linguistica ed espressiva che lo ha sempre caratterizzato. Inoltre la ricchezza di termini per descrivere le piccole cose ed i minimi gesti quotidiani lo rendono piacevole alla lettura, donando un altro "sapore" alla narrazione. In questo modo l'impasto linguistico riesce perché l'espressione che ne nasce è più vitale, più colorata, più vera ed allo stesso tempo dà un'eco, un'idea della vita nel mondo contadino lombardo di fine Ottocento. Se la narrazione, al contrario, fosse stata tutta in dialetto sarebbe risultata ostica alla maggior parte dei lettori ed, ancora, se fosse stata tutta in lingua italiana l'esito non avrebbe mancato di fluire in una banale narratività". Il postino del paese è uno dei tanti personaggi, e non una comparsa, del suo libro. Perché tutte le figure che lei presenta hanno dignità di personaggio e, nonostante le sporadiche apparizioni di ciascuno, lasciano traccia di sé nel romanzo? "II libro anche se nasce come la storia della maestra Sirena Barberis si sviluppa come storia di un intero paese, quello appunto di Malnisciòla. Qui si narra dunque di rapporti tra le persone, di relazioni familiari, di sentimenti talvolta primitivi che lasciano trasparire il carattere delle persone che li esprimono e li vivono intensamente. Di un personaggio non è necessario descriverne l'aspetto dunque, basta che si intuisca il tono della sua voce, la sua presenza, il suo senso all'interno della storia, il resto è superfluo. Ecco perché i miei numerosi personaggi non possono essere semplici comparse: fanno parte di un disegno narrativo in cui ognuno di essi ha un ruolo ben preciso". Dopo il racconto di Pinocchio, Sirena si commuove un po' per la fatica un po' per la tensione accumulata durante quella lezione improvvisata. Tutta questa serie di emozioni che ne deriva sembra provenire da un autentico sentimento vissuto. Lei è stata forse un'insegnante o avrebbe voluto esserlo? "Sono stata un'insegnante fino all'anno scorso, quando ho capito finalmente che dovevo scegliere tra la professione appunto dell'insegnante e quella della scrittrice. Ho scelto la seconda e mi sono licenziata. Quindi la fatica di tenere l'attenzione di una classe di ragazzini non mi è estranea: la quotidianità del mio lavoro infatti mi ha obbligata a viverla costantemente. Inoltre lo sforzo di guidare i ragazzi alla lettura, nutrito dalla continua passione personale dell'insegnante stesso per i libri, qui non è alieno da diretti riferimenti personali". La descrizione di Malnisciòla che ne dà l'ispettore del Regio Dazio è orribile. Lei ha mai conosciuto un luogo simile o l'ha solo inventato per il suo romanzo? II paese delle vocali è reale o frutto di pura invenzione? "II paese che descrivo nel libro è un'invenzione, non esiste nella realtà, ma per descriverlo mi sono documentata presso gli Archivi Comunali di alcuni paesi della zona dell'Alto Milanese come Magnago o Novate Milanese per esempio. Dal materiale storico raccolto emergono la situazione di miseria, di povertà, di malattia e di totale assenza d'istruzione di quei luoghi. E quindi la descrizione che sono riuscita a elaborare per rappresentare quel paese può considerarsi assolutamente verosimile, soprattutto per quanto concerne lo stato della scuola italiana alla fine dell'Ottocento caratterizzato da fatiscenti strutture scolastiche, da insegnanti sottopagati e poco considerati anche dal punto di vista della loro utilità sociale. Nei paesini come Malnisciòla infatti I'istruzione scolastica pare non servisse a nulla in quanto non adeguata alle condizioni sociali dei contadini. Pochi raggiungevano la terza classe elementare, la maggior parte si fermavano alla prima e riuscivano ad imparare soltanto le vocali e a scrivere il proprio nome". Dai preziosi chiarimenti di Laura Pariani qualcuno potrebbe associare quest'esperienza narrativa a quella fortunatissima di Ignazio Silone con la sua "Fontamara". A questo proposito sarebbe interessante farne un confronto stilistico e contenutistico. Che si tratti di una proposta di un compito per l'estate? Ai buoni lettori l'ardua sentenza. LA TRAMA Per chi avesse dimenticato la lettura in dialetto lombardo, la scrittrice Laura Pariani (Busto Arsizio, 1951) è disponibile per un rapido, proficuo e piacevole ripasso estivo con il suo ultimo romanzo. I suoi libri hanno sempre manifestato fin dal loro primo apparire in pubblico ("Di corno o d'oro", Sellerio 1993) non solo un'indiscussa originalità stilistica nella costruzione di romanzi e racconti (vedi in particolare "La signora dei porci", Rizzoli 1997) ma anche un'interessante proposta contenutistica accolta con grande favore dalla critica. Dal Grinzane Cavour al Selezione Campiello i premi letterari hanno confermato infatti l'abilità narrativa della Pariani. E l'ultimo scritto, un romanzo breve o meglio un racconto dai numerosi personaggi, intitolato "II paese delle vocali" (Edizioni Casagrande di Bellinzona, pagg.116, 20mila) non manca di dimostrare un originalissimo tessuto linguistico, fatto di una trama d'italiano parlato in cui si intrecciano intarsi dialettali arcaici ma comprensibili da ogni lettore che ami la narrazione storica e fantastica allo stesso tempo, nutrito da un racconto più vero che inventato. II ritrovamento di un libretto azzurro, custodito in un baule nella polverosa soffitta di una casa nell'Argentina dell'oggi, per mano di due bambine curiose e sensibili a tutto ciò che odora di mistero e d'ignoto porta alla luce la storia di una giovane maestra milanese di fine Ottocento. Si tratta di Sirena Barberis, la raffinata figlia di un tipografo della città, che decide di praticare la sua professione d'insegnante elementare. Destinata alla scuola del paesino lombardo di Malnisciòla, noto per la povertà l'arretratezza e la superstizione primitiva che da sempre lo abitano, la delicata maestrina si ritrova a combattere quotidianamente con l'ignoranza, la miseria, la malattia e l'ottusità religiosa dei paesani. E nonostante i buoni propositi, anche la scuola diventa un'impresa quasi impossibile. Sarà il desiderio di insegnare a quei ragazzini selvaggi il suono delle vocali e magari il senso delle parole a trattenerla nell'aria malsana del mesto paesino abbandonato da Dio e dagli uomini della città. (s.b.)

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Il paese delle vocali, Bellinzona, Casagrande, Scrittori, giugno 2000

Traduzioni: Le pays des voyelles, Paris, Demoures,