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il nuovo romanzo:
Primamà

in libreria dal 9 settembre 2025
La nave di Teseo

Primamà

 

 


 

Il mondo che

conoscevano e

desideravano

era tutto lì.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

RISVOLTO DI COPERTINA

 

Dopo la morte del millenario Adàm, Eva – la Primamà, la prima donna – resta sola nel paese Senzanome a raccontare storie, curare con le erbe, dare forma nell’argilla ai defunti. La sua voce antica e sapiente risale la corrente dei secoli e riscrive la genesi del mondo da una prospettiva nuova: quella delle donne, dello spirito femminile che scorre nella terra, nell’acqua, nella memoria. In un villaggio sospeso nel tempo, dove gli uomini venerano un dio punitivo e le donne si affidano alla Mamagrànda del mondo-di-sotto, Primamà si oppone all’ordine patriarcale educando le giovani all’ascolto, accompagnandole nei sentieri dell’immaginazione e della libertà. Nelle sue storiebelòrie – in cui il mito si fonde con il reale e il presente può spiegare il passato – ritroviamo il volto delle nonnàve di ogni tempo, la loro competenza in fatto di disgrazie e speranze, la sapienza nel conservare i racconti, la fede antica a cui rivolgersi nel bisogno.


Primamà è un’Eva millenaria che cerca di resistere, ricordare, tramandare, protagonista di un romanzo sovversivo sulla forza delle parole, una storia di ribellione che riscrive l’intera storia del mondo come fosse quella di ciascuno di noi. Un inno all’energia femminile, al racconto come atto di resistenza, e alla possibilità di un nuovo inizio.


 

 

dal Prologo

 

Dell’inverno del 1956 ricordo ben poco. Altri potranno citare lo sbarco di Fidel Castro a Cuba, la morte di Robert Walser, oppure il ritornello di Bambola cantato da Fred Buscaglione… Per me, invece, appena due fatti: la morte della cagna Valì e il dono di una Bibbia. Se mi concentro, la memoria mi riporta la voce di Nonna che in cucina dopopranzo, sparecchiata la tavola, mi leggeva la Genesi inciampando a volte nelle parole che le erano sconosciute, eppoi ricamandoci sopra. Avevo appena compiuto cinque anni e quel volumone rosso fu il primo libro a essermi stato regalato alla festa di Sant’Ambrogio, ché Babbo Natale non era ancora venuto di moda. Il primo di una lunga serie di libri portatori di senso e di sogni.
Ché non mi è sempre stata evidente la dimensione del tempo: come memoria e come futuro, ho cominciato a percepirla attraverso i libri, e continuo a farlo ancora adesso, tanto che sono solita dire: l’anno in cui ho letto questo e quest’altro, oppure l’anno in cui ho scritto questo o quest’altro… È con la lettura e la scrittura che ho cominciato a sentire una terra solida sotto i piedi. Le storie contenute nei libri si iscrivevano dentro di me e io diventavo i personaggi che via via incontravo o immaginavo.
Ché io sono parole, frasi, raccontazioni.
Eccosì quella Bibbia segnò il confine temporale che per me separa la forma dal caos.

 

 

LA PRIMA PAGINA

 

Vön

 

 In altre parti del mondo qualcuno dirà che è autunno, come passa il tempo, hora fugit, addirittura precipita. Ma nel paese Senzanome il tempo non passa, sta chiuso dentro la palizzata solcata da rampicanti come da fili di sangue.
Quando fa chiaro al mattino e il merlo lancia il sò verso tra il ginestrone, non è come se fischiasse oggi, perché pure ieri l’era inscì e l’istèss sarà dumàn e dopodumàn e l’indopodomani anmò. E la medesima sensazione la dà il sole palliduccio che si intravede nella nebbia sonnolina posata sulla brughiera come un manto grigio.
È vita priva di luci per quelli che vivono qui, uniti da imperseguibili legami ancestrali. Si va da un dì all’altro con le spalle doloranti, senza aspettarsi altra novità che una bestia malàda o un anziano incapace di alzarsi dal sò giaciglio. Nello spiazzo intorno al nùs solo il vento di settentrione brontola nelle stie dei polli vuote, sbatacchiando le intelaiature scricchiolanti. All’interno delle cabáne fuligginose stagna un odore rancido di muffa, di stallatico, di agro sudore di corpi poco lavati, mescolato a quello degli stronzi delle galline che raspano e bezzicano nel pavimento di terra battuta. Un foeugh di legna umida, mantenuto acceso con grande fatica, illumina la fossa del larìn, così piccola rispetto al Grande Fuori di nuvole nere: se ci si mette a pensare, ne si prova una vera vertigine, come a star ritti su un rovere, in piedi tra due rame e, in mezzo, un vuoto insostenibile.


Primamà, La nave di Teseo, Oceani 269, 9 settembre 2025

 

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