La foto di Orta
La foto di Orta

Risvolto di copertina

Orta è un piccolo lago piemontese, di quelli che gli stranieri del secolo scorso inserivano nel grand tour dell'Italia. Qui nel maggio del 1882, giunge il professor Friedrich Nietzsche insieme con la giovanissima Lou Von Salomé, la madre di lei e l'amico Paul.

Di quel breve soggiorno - poco più di una giornata - rimangono scarse testimonianze: un biglietto con la promessa di un incontro a due, una caricatura schizzata su un foglio quadrettato, una foglia secca di agrifoglio; il tutto conservato in una busta recante la scritta "Ricordo del Monte Sacro" che Nietzsche tenne sempre con sé.

Negli anni successivi, mentre Elisabeth, chiusa nelle proprie ossessioni sessuofobiche, alimenta la propria gelosia contro la donna che il fratello le ha preferito e costruisce intorno a lui una telaragna di menzogne, il professore tenta di rivivere fin nelle minuzie - passo passo, gesto dopo gesto - le ore dell'indimenticabile giornata ortese trascorsa accanto a Lou con l'illusione di poterle essere compagno, nel tentativo di trovare i motivi del suo fallimentare rapporto con le donne e del suo amore impossibile.

Non si sfugge però al peso, di un'infanzia in cui "castigo" e "silenzio" sono state le parole chiave, come pure al tormento della malattia ossessivamente incarnata dalla figura ribelle e distruttiva dell'Oscuro; neppure il trasformare la propria vita in un perenne randagismo di città in città si rivela una possibile via di fuga. Non c'è salvezza nella famiglia o nel viaggio, ma forse soltanto in una fotografia - la foto di Orta - gelosamente conservata nel corso degli anni: perché la memoria è l'unico luogo dove si può perdonare anche senza comprendere.


La prima pagina

Uno

Le cortine tirate intorno al letto sono segno che è notte. La tortura dei cataplasmi e dei suffumigi) che è giorno. L'angustia dell'attesa senza fine che il tempo in questa stanza non esiste.

Con grande sforzo il malato porta la mano destra sul petto. Per un attimo percepisce il pulsare del sangue, la contrazione dolorosa dei muscoli; ché se ancora non è cadavere, porta però la morte dentro di sé, un enorme e acido male che gli rode il cervello. Quando sia cominciato, non sa, non ricorda.

Richiude gli occhi… Grosso e rubizzo, un fotografo sta finendo di sistemare il treppiedi della macchina fotografica accanto alla siepe di bosso. Ha barbetta e capelli bianchi con una scriminatura per il mezzo, baffi ritorti a manico di ombrello, un fiore sul risvolto della giacchetta di lana scura. Si china infilando la testa sotto il mantello nero che copre il soffietto a fisarmonica dell'apparecchio; con la mano fa segno di non muoversi. Una voce come da lontano commenta: «Ecco, così, il profilo del signore va bene. Però bisogna che l'ala del cappellino non vada a far ombra sul viso della signorina. Esatto, proprio così adesso è perfetto...».

Quando il malato si appisola, succede spesso che gli sfili davanti una galleria di figure cui non riesce a dare un nome: come in una storia confusa in cui si sono condensati e compressi gli innumerevoli giorni della sua vita.

Dalla gola dell'uomo esce un suono opaco, mentre si risveglia bruscamente, percependo un odore verminoso nel naso. L' espressione del viso, che da addormentata conservava un che di composto si disfà in una smorfia; le guance si coprono di un sudore perlaceo. Cos'è stato? Dov'è andato a finire il fotografo?

La foto di Orta, Milano, Rizzoli, La Scala, marzo 2001

Altre edizioni:

Sehnsucht nach Orta, Verlag C. H. Beck, München 2002.

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